In Italia i Data Center sono ancora in casa. Ma devono evolvere

A rivelarlo è un sondaggio condotto da Digital 360 in collaborazione con Dimension Data, condotto su un campione di 280 aziende italiane di medie dimensioni

Pubblicato il 05 Giu 2017

Laura Zanotti

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I Data center sono tutt’altro che superati: anche in un Paese come il nostro sono sempre di più uno strumento chiave del business aziendale, anche se allo stesso tempo sono un asset critico da gestire.
I dati parlano chiaro: a fronte di nuovi modelli tecnologici incentrati sul cloud e sulle logiche dell’As a Service e del Pay Per use, 8 aziende su 10 (83%) nel nostro Paese hanno ancora un data center in house, l’85% delle imprese ha bisogno di far evolvere l’infrastruttura IT in una chiave di maggiore razionalizzazione e agilità, quasi 7 aziende su dieci (69%) hanno uno staff sottodimensionato rispetto alle esigenze e ai compiti associati alla governance.

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Il vero problema dei data center in Italia, infatti, sono infrastrutture aziendali che non hanno seguito un modello di sviluppo programmato e oggi sono il risultato di una crescita molto più addizionale che strategica. Questo è il motivo per cui tutte le aziende confermano di avere necessità di cambiare, in un’ottica di forte rinnovamento delle macchine ma anche delle modalità di gestione dei servizi.

A rivelarlo una survey condotta da NetworkDigital360, in collaborazione con Dimension Data, su un campione di 280 aziende italiane di medie dimensioni (superiori a 250 dipendenti), operanti in vari settori industriali dal manufacturing (65%) al finance (10%), dal retail (20%) al chimico-farmaceutico (4%).

Data center, c’è voglia di cambiamento

Gli analisti hanno sottolineato come per quasi nove aziende su 10 (85%) il motivo principale che sta spingendo la direzione a revisionare le infrastrutture ICT esistenti sia la volontà di razionalizzare un installato eterogeneo, costituito da sistemi legacy e nuove soluzioni che progressivamente sono entrate in azienda per rispondere rapidamente alla domanda delle diverse LOB che richiedono maggiore agilità e una velocità di servizio crescente. Il resto delle risposte fotografa segnali di evoluzione e di cambiamento in relazione allo sviluppo del business. La reingegnerizzazione dei data center italiani, infatti, è funzionale alla crescita dell’organizzazione interna (22%), ad acquisizioni/merge e dismissioni di rami d’impresa (15%), all’apertura di nuove filiali (12%), all’apertura di nuove business unit (10%) e all’internazionalizzazione legata a delocalizzazione o apertura di sedi estere (6%). Solo l’11% delle imprese dichiara di aver bisogno di rinovare le proprie infrastrutture per adeguarle alla compliance normativa.

Il data center come proprietà

La volontà di sviluppare i servizi richiesti nel più rapido tempo possibile per garantire il time to market aziendale oggi spinge le imprese a rivedere la propria regia informatica. L’obbiettivo? Presidiare la governance integrando applicazioni e sistemi secondo criteri di centralizzazione e omogeneizzazione più efficaci e con economie più lungimiranti e sostenibili. La ricerca ha messo in luce ulteriori aspetti che aiutano a capire quali sono i limiti di un approccio più evoluto: l’83% delle imprese italiane considera ancora il data center come un bene, ovvero un asset rigorosamente proprietario. Meno di 1 azienda su 10 (8%) ha terziarizzato la complessità del data center affidandola a un provider specializzato e meno di 1 azienda su 10 (9%) ha spostato il proprio approccio da un concetto di possesso a un concetto di puro servizio affidando a un cloud provider la gestione in toto delle proprie infrastrutture ICT.

Il cloud piace

Alla domanda “Valutando la possibilità di una migrazione delle vostre infrastrutture in cloud, quali delle seguenti opzioni terreste più in considerazione?” gli analisti hanno registrato come il 35% delle aziende sia più propensa a scegliere un modello ibrido, il 33% un modello di cloud privato e il 20% un modello di cloud pubblico. 8 aziende su 10 scelgono la virtualizzazione mentre solo due aziende su 10 affermano di non essere minimamente interessate a spostare sulla nuvola le proprie infrastrutture, mentre un’azienda su dieci confessa di non aver ancora preso posizione. In realtà l’indagine evidenzia come ci siano ancora moltissimi freni rispetto all’uso più intensivo e strategico della nuvola.

L’orientamento delle risposte suggerisce che le imprese italiane nutrono ancora diverse riserve nell’affidare la gestione delle proprie infrastrutture completamente all’esterno del tradizionale aziendale. Le risposte, in vario modo, sono quasi tutte legate al timore di interrompere la business continuity. Al primo posto delle criticità per quasi 6 aziende su 10 c’è la paura di intaccare la sicurezza aziendale (59%) seguita, praticamente a pari merito (58%), dalla scarsa fiducia rispetto alle garanzie di una connettività tale da garantire la business continuity erogata in cloud. La terza criticità, in ordine di spiegazione, è comunque correlata allo stesso tema: il timore di un’interruzione rispetto alla continuità operativa, indicata da quasi 5 aziende su 10 (49%). Per il 36% delle imprese la migrazione sulla nuvola delle proprie infrastrutture è frenata da problemi associati alla compliance, a pari merito con motivazioni legate alla paura di vedere aumentare i costi dell’As a Service. Per due aziende su 10 (20%), invece, il cloud è inaccessibile perché le infrastrutture sono troppo obsolete per consentire una gestione on demand.

L’outsourcing come possibilità

Al di là delle criticità legate alla gestione di server, storage e infrastrutture di rete fisiche e virtuali la survey ha messo in luce una grossa una grossa crisi interna allo staff ICT: quasi 7 aziende su dieci (69%) dichiara di essere sottodimensionato ma il 31% ha ovviato al problema grazie a risorse in outosurcing. La governance è ripartita tra chi si occupa di demand management (73%) che raccoglie informazioni dal business e le traduce in requisiti IT, una parte del personale (70%) che a causa della sempre più rapida obsoloscenza tecnologica dell’hardware e del software si occupa di gestire contratti diversificati con una molteplicità di fornitori per upgrade ed evolutive, personale prettamente tecnico e dedito allo sviluppo e alla programmazione (67%). A fronte di un 45% di aziende che non pensa di intervenire su un potenziamento dello staff IT, più di 3 aziende su 10 (33%) afferma che ricorrerà all’outsourcing mentre 1 azienda su 10 sta formando il proprio personale e 1 azienda su 10 provvederà al gap attraverso nuove assunzioni.

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