Le memorie, lo storage e la possibilità di fare copie private di film, musica e documenti protetti da diritto d’autore attraverso tablet, smartphone, pc… Si scrive Equo Compenso e si traduce come il tormentato modo per compensare i detentori di copyright per eventuali usi illeciti che gli utenti possono fare con quei dispositivi (download di musica o film pirata). Una nota dolentissima per utenti ma soprattutto per gli operatori di alcuni dei settori sul quale il mondo ICT scommette maggiormente per accelerare la possibile ripresa: smartphone, tablet ma soprattutto storage e dispositivi di conservazione dei dati. Uno dei pochi segmenti quest’ultimo nel quale il canale indiretto riesce ancora a vendere con non troppa difficoltà del “ferro”…
Come tutti sanno l’Equo Compenso va infatti alla Siae e, secondo quanto riferisce il Corriere della Sera sarebbe la stessa Siae ad essere intervenuta a supporto del Ministero dei Beni Cultutali guidato da Massimo Bray, non solo rilevando le medie europee (pare siano stati esclusi però dal calcolo Paesi come la Gran Bretagna e la Spagna dove il compenso non esiste) «ma si è calcolata anche da sola gli aggiornamenti delle tariffe». Il risultato sarebbe una riduzione dell’equo compenso su prodotti come i registratori Vhs e i vecchi telefonini che non hanno più evidentemente mercato, e una proposta di aumento del 500% su prodotti amati dagli italiani come gli smartphone e i tablet (da 50 centesimi a 5,2 euro). Per i computer la proposta è di 6 euro. «l’aumento ora deciso sarà del 70 per cento, quindi Siae ne ricaverà 210 milioni di euro all’anno invece dei soliti 80 milioni euro».
A ben guardare comunque, il presidente Siae Gino Paoli aveva scritto già un mese fa al ministro dei Beni e delle Attività Culturali chiedendo un aumento dell’equo compenso ma proponendo anche un tavolo di confronto con tutte le rappresentanze di categoria interessate. L’emendamento della discordia però ora pare andare anche oltre, introducendo subito l’aumento, senza bisogno di tavoli tecnici.
«Sono soldi sottratti all’industria dell’elettronica e quindi alle tasche dei consumatori – spiega a Repubblica, Guido Scorza, avvocato esperto della materia -. Significa che un iPhone 16 GB costerà circa 4 euro in più, poiché la componente dell’equo compenso passerà, con questo aumento, dagli attuali 90 centesimi a 5,20 euro. Per i tablet si passa dai 3,20 ai 5,20 euro, per i computer da 3,20 a 6 euro».
L’aumento, spiega Francesco Ribaudo (PD), primo firmatario dell’emendamento – (se l’emendamento supererà tutto il classico iter indenne ndr) – è giustificato con l’idea di portare l’equo compenso al livello della media europea, e punta a promuovere le attività culturali. «Il 50 per cento delle somme raccolte attraverso l’adeguamento dei parametri dell’equo compenso sarà destinato dalla Siae al sostegno delle attività previste dallo statuto della stessa società degli autori ed editori. E in particolare serviranno per erogare borse di studio, finanziamenti ed altri benefici in favore dei nuovi talenti nei campi della musica, del cinema, del teatro e della letteratura». Una logica che ovviamente fa discutere e raccoglie inevitabilmente la replica assai piccata da parte di Anitec, l’Associazione Nazionale Industrie Informatica. «Dobbiamo subito ribadire che nuovi aggiuntivi balzelli non farebbero che penalizzare ulteriormente l’innovazione tecnologica – dice sempre a Repubblica, Cristiano Radaelli, presidente di Anitec -. Se implementata, questa richiesta si trasformerebbe, di fatto, in un costo aggiuntivo che graverebbe sui consumatori e sulle famiglie, generando il concreto rischio di allargare il digital divide italiano».
Al momento le repliche ufficiali della Siae sono affidate a questa nota dell’ avvocato Luca Scordino, consigliere di gestione SIAE.