Il cloud è pervasivo, lo abbiamo ripetuto anche noi più volte. Tanto da coinvolgere ormai prepotentemente settori che sembravano essere estranei a questo mondo, tra cui quello della videoconferenza e, anzi, favorirne l’ulteriore ascesa. È questo il caso di Lifesize, azienda americana attiva nel mondo della collaboration che, negli ultimi anni, sembrava essersi un po’ nascosta dai radar del mondo mediatico. E che invece era per l’appunto impegnata in una profonda trasformazione in ottica cloud, come ha raccontato a Digital4Trade Enrico Leopardi, Lifesize VP Southern EMEA: «Noi siamo partiti in Italia nel 2007, in Europa nel 2005, e ci siamo sviluppati come vendor nel mondo della videoconference, commercializzando endpoint per le sale riunioni e soluzioni per la telepresence, rigorosamente on premise. Nel 2013/14 abbiamo invece completamente cambiato il modello di business, rispondendo alla domanda del mercato. Ci siamo trasformati in una cloud company, tanto è vero che già nel maggio del 2014 abbiamo lanciato la nostra soluzione cloud, che si chiama app Lifesize (che si appoggia al servizio SoftLayer di IBM, ndr)».
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Un unico ambiente virtuale per la collaboration
Ma perché questa svolta cloud si è resa necessaria? Per capirlo bisogna partire dal punto di partenza: nelle aziende medio grandi ed enterprise, gli strumenti audio-video non mancano di certo. Anzi, spesso le sale riunioni sono affollate da una serie di device di diversi brand, non di rado in conflitto tra loro. C’è poi la crescente esigenza di far partecipare ai meeting le persone esterne all’azienda. Una situazione che genera un enorme problema di costi e gestione, nonché di adozione interna. A cui Lifesize cerca di rispondere con il suo sistema cloud, concepito per creare un vero e proprio ecosistema capace di produrre una convergenza reale tra tutte queste variegate soluzioni. In poche parole Lifesize permette di mettere insieme persone interne ed esterne, raggrupparle in un unico ambiente virtuale e (vitual meeting room), consentendogli di comunicare e collaborare, condividendo tutto ciò che è necessario (slides, Power point, eccc). Il problema della partecipazione degli esterni è risolto in partenza con l’invio di un link via web, che permette a chiunque la partecipazione alle conferenze.
Addio all’on premise
Insomma, l’obiettivo è quello di garantire un’interoperabilità universale che permetta di tagliare i servizi semplici di audioconference e mantenere una elevata uniformità. Rendendo così possibile agli utenti non solo il classico BYOD, ma anche il Bring your application, in modo da partecipare alle call con le proprie applicazioni preferite. Tutto questo ecosistema non è però in alternativa a Skype for Business, la soluzione di Microsoft che in poco tempo è diventata il punto di riferimento della collaboration a livello desktop. «Piuttosto noi integriamo Skype for business con tutte le altre tecnologie. Basti pensare che, spesso, i terminali delle sale di videoconferenza non sono concepiti per parlare con Skype for business. La nostra soluzione cloud è invece in grado di risolvere questo problema. Perché via cloud e non on premise? Come dicevo in precedenza, ormai i clienti che richiedono soluzioni di multiconference on premise sono davvero molto pochi. Ci sono anche ragioni di natura tecnica o di convenienza: per poter unire Skype for business con un oggetto da sala si ha bisogno di un dispositivo che si chiama MCU (Multi Conference Unit). Oggi di MCU on premise ce ne sono ancora, ma dal nostro punto di vista hanno dei costi non più sostenibili da un punto di vista finanziario. Un MCU che permette di collegare 10 sale insieme con Skype for business può arrivare a costare anche 100.000 euro. Mentre invece una soluzione cloud, con un canone di poche migliaia di euro l’anno, consente di fare le stesse cose e anche in maniera migliore. Non a caso molti dei nostri attuali clienti sono passati alle nostre soluzioni cloud proprio rimpiazzando dei vecchi MCU su cui pagavano dei contratti di manutenzione estremamente onerosi. C’è poi il problema della obsolescenza, vale a dire: quali protocolli inserirà Microsoft nelle sue piattaforme nei prossimi anni? Di recente ci sono stati numerosi cambiamenti, mentre la nostra soluzione via cloud è in grado di aggiornarsi automaticamente. Infine, occorre considerare il tema della scalabilità, dal momento che il cloud è l’unica tecnologia che può consentirla».
Un canale ancora in espansione
La soluzione cloud, però, non esaurisce certo il portafoglio di offerta di Lifesize, il cui fatturato è per un 70% ancora collegato direttamente alla vendita dei terminali proprietari per le sale riunioni, integrati nativamente con la app Lifesize. Tutto questo è un assist anche per il canale di Lifesize, che tipicamente si trova a proporre ai clienti finali sia la app Lifesize che i dispositivi hardware. In Italia Lifesize può contare su tre distributori Allnet, Attiva e Zycko (Nuvias) e un nucleo storico di 10-15 system integrator da cui passa buona parte del fatturato, considerato anche che il modello di business è completamente indiretto. «Il ruolo dell’integratore è fondamentale per poter arrivare in maniera capillare sul mercato, ma c’è sempre una triangolazione che ci coinvolge; dobbiamo essere sempre parte attiva nel deal. Ovviamente ci stiamo guardando intorno, abbiamo iniziato la discussione con nuovi partner del mondo IT, che magari vengono dal mondo Microsoft o Google e hanno la necessità di espandere il proprio portafoglio», evidenzia Leopardi. La strategia per il momento sembra pagare: superata la fase di transizione del passaggio al cloud, oggi Lifesize è in salute, tanto da aver raddoppiato il suo fatturato in Italia lo scorso anno, con circa 30-40 nuovi clienti acquisiti ogni trimestre.