Ci sono Italia, Francia, Germania e Spagna in testa ai paesi che in Europa vogliono spingere verso la nuova web tax. Di cosa si tratta? Di tassare i giganti dell’hi-tech per le loro attività nel nostro continente, seppur abbiano sedi e quartier generali all’estero. Tra le multinazionali interessate c’è la solita Google ma anche un soggetto come Amazon che davvero si fa difficoltà a localizzare in un punto determinato del globo. Come agire?
Il primo passo lo ha fatto la Francia, spiegando come le tasse attuali versate da tali compagnie siano davvero irrisorie rispetto a ciò che ricavano nei suddetti stati. Il punto è proprio questo: ricavi e non solo profitti. Ad oggi le aziende hi-tech o cosiddette web vengono tassate sui profitti portati a casa dalle sussidiarie nelle regioni a basso raggio, come l’Irlanda. In questo modo si paga il dovuto per un solo paese, una tantum, nonostante si faccia del business anche altrove, in particolar modo dove è più alta la consueta richiesta economica.
Cosa succede
“Non dovremmo accettare questa sorta di compromesso con compagnie che pagano cifre minime in Europa per i loro ricavi” – scrivono i ministri italiani, francesi, tedeschi e spagnoli in una lettera congiunta. Il nostro Padoan si è rivolto, come gli altri, al presidente dell’Unione Europea di turno, l’estone Jüri Ratas, per rafforzare la posizione della Commissione in merito al rilancio di una web tax concreta, più forte e diretta a livellare lo status delle web company al resto.
A rendere più complicate le cose ci aveva pensato, lo scorso luglio, proprio una corte francese, con una sentenza storica a favore di Google, parte di Alphabet Inc, con cui ammetteva che Big G non aveva alcun obbligo economico extra (si parlava di circa 1,1 miliardi di euro) nei confronti delle casse transalpine, per l’assenza di una posizione permanente all’interno dei confini. Entro settembre sarà compito della UE stabilire cosa si intenda per web company e se distinguere o equiparare sede operativa con il mercato di riferimento.