La tendenza delle aziende ad adottare forniture a consumo si sta facendo sempre più evidente, decretando un crescente successo dei servizi in cloud. Il cloud si sta, infatti, rivelando un mezzo sicuro dove affidare i dati e la loro gestione, fungendo da infrastruttura flessibile in grado di gestire picchi di richiesta computazionale o di storage e un “luogo” sicuro e pratico dove far risiedere applicazioni aziendali fruibili in maniera ubiqua dall’esterno secondo policy personalizzabili. Insomma, l’as-a-service, nel suo complesso, sta finalmente prendendo piede. Anche in Italia. E i system integrator stanno di conseguenza cambiando i loro business model e competenze proprio per andare incontro a esigenze sempre più pressanti da parte delle aziende loro clienti.
Proprio il tema dei servizi in cloud ha animato una tavola rotonda organizzata recentemente dalla nostra testata TechCompany360 e che ha visto il confronto tra IBM e una variegata rappresentanza di system integrator, con l’obiettivo di tastare il polso al canale e capire quanta propensione ai cloud services riscontrano tra i loro clienti e quanto loro stessi si stanno orientando verso queste nuove modalità di proporsi alle aziende e di interpretare il proprio business.
Indice degli argomenti
I numeri italiani del cloud: Public e Hybrid a +25%
Gli spunti della discussione sono arrivati soprattutto dai numeri. Quelli mostrati da Massimo Ficagna, senior advisor dell’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, che esordisce sottolineando il trend molto positivo del mercato del Cloud in Italia, che complessivamente per il 2019 ha cubato 2,770 miliardi di euro, in crescita del 18% rispetto all’anno precedente e, nel distinguo, 1,559 miliardi sono ascrivibili al Public & Hybrid Cloud, cresciuto del 25% anno su anno.
«Si tratta di tassi di crescita che sono ormai diventati importanti anche nel nostro Paese, con una fetta di mercato consistente rispetto al totale del mercato ICT italiano, che si aggira sui 60 miliardi – commenta l’analista –. Un mercato fatto soprattutto di situazioni di hybrid cloud, con le aziende che tendono a tenere una parte del sistema informativo in casa e a spostare alcune attività sul cloud, dove si ragiona per canoni, per Opex e non per Capex».
Il cloud sta quindi vincendo le reticenze passate. Alcuni settori, infatti, che inizialmente faticavano ad affrontare il cloud per motivi di compliance e sicurezza, ora si stanno via via convertendo e oggi vediamo il settore Banche al secondo posto per adozione del cloud (rappresenta il 20% del totale), dopo il manifatturiero (25%).
Diverse le strategie con cui le aziende vanno verso il cloud. Dipende, infatti, se si tratta di migrare tutto il pregresso o in parte. Il 16% delle aziende pare voglia tenersi il legacy in casa, mentre il 9%, all’opposto, ha già migrato tutto in cloud e il 21% prevede di farlo a breve. Il 54% del panel interpellato dall’Osservatorio punta a una forma hybrid. Mentre il cloud diventa la scelta preferenziale nel caso si tratti di avviare nuovi progetti (42%). Il mercato italiano del Public & Hybrid si compone perlopiù di SaaS e IaaS, rispettivamente 44 e 40%, e il rimanente 16% di PaaS, quest’ultimo in gran crescita (+38%) rispetto all’anno precedente.
Grandi aziende: cresce la fiducia nel public cloud e nel multicloud. Ma vince l’Hybrid
Diverso è l’approccio al cloud tra grandi imprese e PMI. Le prime, per l’84% sono avvezze a usare servizi di public cloud, e stanno iniziando a sfruttarli anche per processi core (41%), ma la scelta prevalente è di avere un sistema hybrid cloud (77%).
Altro scenario che si sta presentando è quello del multicloud, (68%) con l’uso di più cloud provider (in media 3, con punte di 6 provider).
Naturalmente architetture così eterogenee necessitano di integrazione e gestione, e su qui siamo al 24% di grandi aziende che orchestrano più provider in (vera) logica multicloud.
Altro discorso, invece, quando si parla di PMI, dove l’uso esteso del cloud si osserva solamente nel 22% dei casi.
In questo contesto, anche gli operatori terze parti evolvono, puntando alla costruzione di reti di competenze. Il 57% ha visto crescere la propria rete di partner, e altri prevedono di farlo nel prossimo futuro.
I servizi in cloud cambiano il canale di riferimento
«In effetti stanno cambiando molto gli interlocutori con cui solitamente lavoriamo – interviene Gianluca Giovanelli, Global Technology Services Channel Manager IBM -. I partner con cui IBM lavora sul fronte della rivendita non sono gli stessi con cui collabora sul mondo dei servizi. Ma anche IBM stessa, negli ultimi tempi, è cambiata nel peso del suo offering, basti pensare che il business generato dalla parte GTS è ormai pari al 55% dell’intero fatturato, mentre l’hardware, che è storicamente stata l’anima di IBM, oggi pesa per il 17%».
Anche perché, c’è da dire, l’approccio al go to market, alla tecnologia e alla risoluzione dei problemi è del tutto differente quando si parla di servizi, come spiega Mauro Lavezzari, Global Technology Services Senior IT Architech IBM: «GTS è ormai la divisione più grande in IBM, che è tradizionalmente associata all’ambiente IT più classico e al Data Center. Per molti, infatti, IBM è ancora identificata con il Mainframe, che certamente continua a fare parte con successo del nostro mondo, ma è sempre più integrato con altri aspetti, come l’Intelligenza Artificiale, l’evoluzione verso il cloud, nelle sue forme ibride, e alla parte della security, che ormai è sempre più trasversale e integrata in tutti gli ambiti organizzativi».
Nell’Hybrid Cloud la flessibilità che il mercato richiede
Questa è quindi la IBM dei giorni nostri, alla quale sta particolarmente a cuore l’aspetto dell’Hybrid IT, risultato dell’evoluzione infrastrutturale che gode dei vantaggi messi a disposizione dal cloud, elemento sempre più strategico nelle infrastrutture evolute anche se solo una minoranza del parco applicativo, meno del 20%, è residente oggi su cloud e prevalentemente per applicazioni core che non hanno importanza strategica per le aziende. C’è poi da rilevare che la maggior parte delle aziende lavora su diverse infrastrutture, su diversi tipi di cloud, sia public sia private. Si usa quindi più di un public cloud e, in ottica hybrid, i contesti sono vari: da chi usa il cloud per fare fronte a carichi di picco, piuttosto che impiegare macchine, solitamente sottoutilizzate, in data center, oppure il cloud viene utilizzato per fare disaster recovery, o, ancora, per l’utilizzo del Software-as-a-Service.
«IBM, in questo ambito, ha sposato la causa della flessibilità e della libertà di scelta delle aziende – dichiara Lavezzari -. L’Hybrid e il multicloud sono in testa alle nostre strategie. Pur avendo una propria tecnologia di public cloud, IBM ha deciso di orientarsi sul multicloud e tende a fornire strumenti di gestione a chi deve erogare soluzioni in ambito hybrid, che prevedano un ambiente in cui più cloud ospitano diversi aspetti dell’ambiente IT».
Multicloud vs lock-in. IBM punta alla gestione e alla libera scelta dei clienti
Si tratta di soluzioni che non devono, però, comportare lock-in, un fattore, questo, che è primario oggi nella valutazione di una soluzione da parte dei clienti, i quali non intendono fare scelte che siano vincolanti. Poter rispondere a questo requisito significa, quindi, essere in vantaggio. Un vantaggio che IBM conta di avere e di poter trasferire ai propri Business Partner.
Un’ulteriore apertura a mondi “altri”, IBM la può, poi, oggi ascrivere all’integrazione nelle proprie piattaforme del mondo open source, a seguito dell’acquisizione di Red Hat, che proprio dell’esclusione del lock-in ha fatto da sempre la propria strategia/filosofia, fatta di condivisione del codice a beneficio dell’innovazione a cui contribuisce la ormai vastissima community di sviluppatori.
Da Red Hat una container platform per omogeneizzare le architetture e colloquiare con tutte le infrastrutture
«Consentire al cliente di evitare il lock-in e disporre di un ambiente veramente aperto èuno dei nostri obiettivi primari –riprende Lavezzari -: sempre piùquesto aspetto costituiràuno dei principali criteri di selezione utilizzati dai nostri clienti.
Nelle nuove infrastrutture sempre piùeterogenee, dove al data center e alla virtualizzazione tradizionale si sono sommati i vari ambienti di public e private cloud, un elemento di omogeneizzazione écostituito, da un sistema operativo e da una container platform, ossia una piattaforma in grado di ospitare i nuovi carichi applicativi, che forniscano un ambiente comune e disponibile sulla piùampia varietàdi infrastrutture. In tal senso Red Hat interviene con il sistema operativo Linux RHEL e con Openshift, una tecnologia che implementa, appunto, la container platform. Tecnolgie aperte e largamente disponibili, a garanzia di assenza di lock-in.».
I servizi cloud IBM: si parte dall’Advice, al Move, al Build fino al Manage
Sopra questa architettura aperta, IBM propone i propri servizi, con soluzioni che seguono 4 principali paradigmi. Advice sottolinea la parte di consulenza e supporto al cliente per organizzare la propria evoluzione infrastrutturale.
Move, che riguarda la vera e propria migrazione di applicazioni e servizi dal mondo tradizionale del data center a quello ibrido.
Build è invece la costruzione di soluzioni nel nuovo ambiente evoluto che comprende le piattaforme container che sono alla base di nuovi sviluppi applicativi.
Manage, infine, è l’aspetto che riguarda la gestione e il controllo di tutti i componenti di questo nuovo ambiente, per il quale IBM si propone con IBM MultiCloud Management Platform, mettendo a disposizione un catalogo di servizi flessibili in grado di evolvere velocemente.
«Nel mondo dei servizi la rivendita è praticamente inesistente – avvisa Giovannelli di IBM -, il che ci spinge a cercare partner che portino i propri clienti sul cloud e che mettano le loro applicazioni su data center IBM, che sia cloud o tradizionale, lasciando loro la libertà di appoggiarvi quel che vogliono. Altri ancora chiedono a IBM di essere prime contractor presso il cliente per poi appoggiare i loro servizi sulla nostra infrastruttura. Cerchiamo, in sostanza, partner con applicazioni interessanti da integrare sullo IaaS IBM e da promuovere con tutto il supporto marketing necessario».
Apertura delle architetture, orientamento al multicloud, garanzia di flessibilità e un piede nella logica a container a beneficio della libertà di scelta dei clienti, sono quindi le proposte con cui IBM è in grado di allettare i partner e le aziende per una migrazione verso il cloud consapevole e gestibile secondo le singole esigenze. Ma il mercato è pronto, dal punto di vista economico, culturale, tecnologico, a compiere questo passo? Quanto si distinguono le esigenze tra grandi aziende e piccole, tra pubblico e privato, tra zone geografiche differenti?
Tante le sfaccettature delle richieste che i system integrator incontrano tra i loro clienti. Con le aziende enterprise che non è poi detto che siano, in concreto, così tanto propense a orientarsi verso più cloud provider, come da esperienza diretta di Beta 80.
Beta 80, Multi o Mono cloud? All’Enterprise piacciono rapporti univoci tra big
«Non sono così sicuro che i grandi clienti, a cui Beta 80 fa riferimento, non preferiscano essere vincolati a un’unica scelta tecnologica, che dà loro maggiore tranquillità» esordisce Paolo Piscopo, Sales Executive di Beta 80, system integrator milanese, da oltre 30 anni sul mercato e con più di 600 addetti.
E spiega: «A parte per il SaaS, dove magari i clienti preferiscono andare su una scelta più ampia, su PaaS e IaaS invece notiamo che preferiscono orientarsi su un unico fornitore, piuttosto che stare su molti in ottica multicloud. I nostri clienti, perlopiù di livello enterprise, hanno fatto una scelta: chi Google, chi AWS, chi Azure, ma tendenzialmente un unico riferimento. E poi c’è da dire che per un system integrator proporre IaaS non è poi così profittevole, non vediamo vantaggi dal semplice lift&shift. Interessante, invece è quando si deve studiare come migrare una soluzione dall’ambiente tradizionale on premise del cliente verso una sviluppata appoggiandosi su delle platform in cloud. In questo modo sì che si riesce a dare un servizio nuovo al cliente, che trasferisce così capex su opex».
«Certo anche il nostro supporto al system integrator va in questo senso – gli fa eco Stefano Giovannini, Cloud Managed Application Services Manager and Hybrid Leader di IBM Italia -. Il nostro obiettivo è sviluppare forme di cooperation con il canale, verso partner che siano integratori o orientato allo sviluppo applicativo o, ancora, avere un modello di business proprio, nel quale IBM non vuole entrare nel merito, ma essere di supporto. Aiutare il system integrator a disegnare un’infrastruttura a piacere e supportarlo nella presentazione al cliente, senza entrare in relazione con il cliente. Oppure possiamo collaborare con un Business Partner che ha una sua soluzione applicativa, fino alla containerizzazione e gestione della soluzione stessa. Anche noi, in definitiva, non siamo direttamente interessati alla vendita del cloud, che diventa ancillare in questo contesto».
All’estremo opposto del target di riferimento per Beta 80 è, invece, HB Informatica, di Altavilla Vicentina, che si rivolge a PMI e professionisti.
HB Informatica: costi e cultura tecnologica, frenano l’adozione del cloud nelle PMI
HB Informatica è un’azienda di riferimento per il mercato delle PMI, piccole e piccolissime imprese del vicentino, alle quali si propone come system integrator, offrendo servizi a 360 gradi che vanno dalla consulenza di base fino a progetti più complessi o allo sviluppo di software, servizi di hosting, di servizi cloud. Ma anche vendita di prodotti infomatici. «Si tratta di aziende che non hanno competenze interne di tecnologia e che si affidano quasi interamente al nostro operato – spiega il titolare, Mhd Bilal Hwasli -, ma che per quanto riguarda l’offerta cloud avanzano alcune remore, principalmente legate al fattore del costo».
HB Informatica vorrebbe, infatti, realizzare alcune soluzioni di proprietà da allocare su qualche data center, ma si scontra con la fatica nell’erogazione dei servizi IaaS, peraltro molto richiesti dai propri clienti. Proprio per gli alti costi dei provider in Italia.
«I dati dell’Osservatorio, che indicano la poca propensione al cloud da parte delle PMI non mi stupiscono – riprende Hwasli -, perché ci si scontra con il fattore dei costi. Spesso, infatti, i clienti vanno all’estero per fruire di servizi cloud, visto che in Italia non esiste una soluzione che sia al pari come servizio e costi. Qui da noi si trova certamente alta qualità nei servizi, ma con costi inaccessibili., del 20 o 30% maggiori rispetto all’estero. E proprio a causa dei prezzi che i data center italiani richiedono per erogare servizi IaaS, noi non possiamo essere propositivi sulle piccole aziende»
E c’è poi chi del cloud sfrutta le capacità di calcolo, soprattutto quando di computazione ce ne vuole parecchia, come nel caso dei progetti di Intelligenza Artificiale, su cui Mauden, system integrator recentemente entrato nel perimetro di Ricoh Italia che si concentra sui temi del cognitive, dei managed services, infrastrutture e servizi cloud e sicurezza, è da tempo focalizzata, appoggiandosi all’architettura di IBM Watson.
Mauden sfrutta la flessibilità delle capacità computazionali utili ai progetti cognitive
Daniel Tomasini, Digital Director di Mauden, è direttamente coinvolto sugli aspetti di Artificial Intelligence: «Mauden è Platinum Partner di IBM e il team DEV al suo interno, che io seguo, si occupa principalmente di progettazione e sviluppo di soluzioni interattive intelligenti, con un offering principalmente orientato su IBM Watson. Siamo pertanto particolarmente concentrati sul lato applicativo, cercando di sviluppare i temi legati all’adozione, in cloud o ambienti di hybrid cloud, di servizi cognitive. La tendenza ora è anche di interpretare e dare una risposta alla propensione all’uso del pay per use dei nuovi servizi di Intelligenza Artificiale che agiscono sulle infrastrutture di calcolo. E capire se in futuro potrebbe essere di interesse la portabilità di tali servizi in altri cloud o in premise».
Chi si sta affacciando ora al mondo del cloud è invece Disc, system integrator e software house di Bergamo, da qualche mese entrata a far parte del Gruppo Lutech, operazione che ora sta orientando l’azienda, nel futuro più prossimo, ad estendere il proprio offering anche ai servizi gestiti.
Disc: la spinta al cloud che arriva da Lutech apre ai servizi per il manufactoring
«Si tratta di un’acquisizione piuttosto recente, per la quale l’integrazione non è ancora pienamente compiuta – informa Raffaella Bonaldi, Marketing and Biz Development Director di Disc – ma che prevediamo presto avrà una strategia di go to market comune, avvalendosi delle reciproche, sinergiche, competenze. Disc, infatti, non ha una grande storia di offerta cloud, se non nel private cloud all’interno del nostro data center oppure per qualche vendita di SaaS. Diverso, invece è l’approccio di Lutech sul tema, che dispone di una vasta offerta di servizi gestiti in grado di occuparsi anche della governance dei sistemi. Competenze nuove che cercheremo di sfruttare per capire quali sono i workload che i clienti del manufactoring, target su cui stiamo puntiamo molto, sono disposti a portare in cloud. Si tratta di medie e grandi aziende tra le quali stiamo notando dell’interesse e predisposizione».
Gamma Innovation: il gap culturale delle PMI le tiene lontane dal cloud
Tornando al tema PMI, anche Gamma Innovation ne lamenta la resistenza. Gamma Innovation è una divisione orientata alle PMI, nata da poco all’interno del più ampio Gamma Group, system integrator milanese che opera in ambito bancario e assicurativo. «Notiamo la difficoltà tra i nostri clienti nell’adozione del cloud – lamenta Simona Tibaldini, Business Developer di Gamma Innovation -, anche dalle funzionalità più semplici, come la posta elettronica, che spesso rimane inadeguata alle reali esigenze che avrebbero queste aziende che, comunque, preferiscono operare ancora in locale. Ci rendiamo conto che si tratta proprio di un gap culturale di questo target di aziende rispetto al resto del mercato, prima ancora che di budget, che però noi, che ci occupiamo proprio di soluzioni innovative e di digital innovation per offrire servizi gestiti alle PMI, sentiamo molto».
Un tema, quello delle competenze, che non lascia indenni neanche grossi operatori come Net Reply, del Gruppo Reply. Ma qui si parla di competenze e specializzazioni proprie da valorizzare nei confronti del cliente per risolvere i diversi aspetti delle loeo esigenze sempre più complesse.
L’offerta di Net Reply punta alla convergenza di tecnologie e competenze
«I nostri clienti tipici sono le Telco, ma ci rivolgiamo anche ad aziende di tipo enterprise o a segmenti industry – afferma Pasquale Camelia, Business Manager NG Networks di Net Reply -. Clienti importanti, con problematiche ed esigenze altrettanto importanti, per i quali riteniamo fondamentale rispondere con proposte frutto di un’integrazione, anche di competenze. Stiamo, quindi, cercando di creare convergenze tra mondi e tecnologie provenienti da mondi vicini, un po’ sulla linea di quanto si è già vissuto a suo tempo nel mondo Telco. Oggi, infatti, il tema cruciale è l’orchestrazione delle reti, soprattutto ora con l’avvento del 5G, e la convergenza col mondo IT del cloud o del telco-cloud. Ambiti nuovi che si portano con sé diversi temi, dalla sicurezza alla flessibilità, o la latenza, particolarmente importante nelle mission critical application. Ma per rispondere a esigenze così vaste e complesse è necessario creare degli ecosistemi , che mettano in campo tutte le competenze richieste per essere innovativi su servizi del tutto nuovi».
Il doppio ruolo di Aria, fruitore e fornitore di servizi cloud per l’innovazione della PA
Le esigenze di innovazione della Pubblica Amministrazione, in termini di servizi tecnologici, sono simili per molti aspetti a quelli del privato. Quello che cambia è il provisioning di tali servizi, non certo la maturità, anche culturale, di alcune realtà. Tra queste, la Regione Lombardia. In questo contesto anche l’azienda di riferimento, Lombardia Informatica, ha subito un’evoluzione, che la porta ad essere di supporto e riferimento anche per altre amministrazioni locali.
Giusto per inquadrare l’azienda e il mercato di riferimento, ricordiamo che Lombardia Informatica si è recentemente integrata con un’altra in-house di Regione Lombardia, per dare vita a una nuova realtà che si chiama Aria, la quale è in fase di acquisizione di una terza componente, la Società Infrastrutture Lombarde, sempre di Regione Lombardia. Da giugno prossimo, quindi, Aria diventerà la maggiore azienda di Regione Lombardia dove convergeranno sia le attività di procurement per tutta la Regione e, in una sua divisione, tutti gli aspetti IT che venivano prima gestiti da Lombardia Informatica.
«Già tre anni fa abbiamo scelto di approcciare la trasformazione digitale adottando il cloud – dichiara Giuseppe Ceglie, Technology Innovation and Cloud services Director di Aria -. Dopo avere provato col private cloud, abbiamo deciso di orientarci verso nuovi partner tecnologici che ci aiutassero nel processo di integrazione e nel consolidamento del nostro processo di adozione del cloud, abbracciando anche un progetto di cloud ibrido, con l’obiettivo di trasferire almeno l’80% dei nostri workload in cloud pubblico». Una sfida certamente innovativa per la PA, ma che ha portato l’attuale Aria ad assumere una doppia veste, estendendo la propria esperienza di trasformazione anche ad altre PA, regionali e non solo, che possono così fruire di tali servizi.
Sono, infatti, molte le PAL che stanno chiedendo ad Aria supporto come centro di competenza territoriale per per aiutarle a fare il percorso di migrazione.
Chiude il giro di confronto tra i system integrator presenti al workshop Aubay, system integrator multinazionale francese, presente anche in Italia, dove opera su aziende di medio-grandi dimensioni, focalizzate nel Finance, Insurance, Telco, Media e Grande Distribuzione.
Aubay: anche sui grandi clienti la valutazione dei costi del cloud chiede risposte veloci
«Per i nostri clienti vediamo un futuro orientato prevalentemente all’hybrid cloud, – afferma Giacomo De Leo, Business Unit Director del Centro di competenza Infrastruttura e Cloud di Aubay -. Abbiamo, infatti, notato una particolare attenzione nella valutazione dei costi da raffrontare rispetto all’on premise, il che li porta a optare per una forma ibrida. Il costo spesso è un fattore che in un processo di migrazione al cloud non viene inizialmente considerato, ma che è destinato prima o poi, a emergere, con risvolti anche importanti e non previsti. Anche per questo chiediamo ai vari cloud provider con cui lavoriamo e su cui abbiamo sviluppato skill interni, supporto e risposte veloci quando andiamo insieme sui clienti. Anche su questi aspetti».