Provate a fare questo semplice gioco. Scrivete su di un foglio i primi tre nomi che vi vengono in mente di marchi o prodotti italiani che hanno avuto fortuna all’estero nel mondo della moda. Fate la stessa cosa per quanto riguarda il mercato automobilistico, oppure per quanto riguarda il mercato del cibo, o, se volete apparire più moderni, chiamatelo anche mercato del food. Immagino che non avrete alcuna difficoltà. Vi saranno venuti in mente nomi come Prada, Gucci, Versace, Armani, Dolce & Gabbana oppure Ferrari, Maserati, Alfa Romeo, Lamborghini, Barilla, ecc. Ebbene ora provate a fare lo stesso esercizio immaginando di dover elencare i primi tre prodotti internazionali sviluppati da aziende italiane nel mondo dell’informatica. Immagino che possiate avere qualche difficoltà. Difficoltà che poi trova conferma nel fatto che forse non si tratta semplicemente di questo. In effetti si tratta di una impossibilità. Non esistono prodotti italiani nel mondo dell’informatica che hanno avuto una rinomanza internazionale.
Di sicuro esisteranno delle piccole nicchie in cui qualche soluzione italiana si è potuta inserire riscontrando anche un discreto successo, ma non stiamo parlando di prodotti industriali così come normalmente vengono concepiti: prodotti cioè che rappresentino il frutto di un’attività coordinata e realizzata dall’insieme di più realtà che collaborando tra loro, anche se in modo non diretto, creino la struttura di un tessuto che possa considerarsi una cultura condivisa. Se si immagina che una personalità per certi aspetti mitica come quella di Adriano Olivetti abbia fatto nascere in Italia una delle prime aziende che all’epoca si interessavano di elettronica e, stiamo parlando degli anni cinquanta, anni in cui elettronica era sicuramente un termine sconosciuto ai più, e che in quell’azienda abbiano trovato posto altri padri di quella scienza che avrebbe portato in breve alla creazione del primo personal computer (Olivetti è stata precursore anche in questo con la realizzazione del primo elaboratore elettronico realizzato in Italia Elea 9003, stiamo parlando del 1959) ciò appare paradossale. Possibile che una nazione intera si sia fatta sfuggire un’occasione del genere? Scomparire da un’industria che rappresenta una delle realtà mondiali a maggior valore aggiunto e in cui si è avuto l’onere di prendere parte – perché essere innovatori di settori industriali nascenti spesso costituisce un sforzo notevole da sostenere se non addirittura impossibile da sviluppare – può apparire sicuramente strano, addirittura beffardo per certi aspetti vista la situazione industriale in cui versa l’economia italiana.
Certo con il senno di poi è abbastanza facile catalogare quell’occasione tra le occasioni mancate del nostro paese e condannare le scelte che all’epoca furono fatte e che non facilitarono lo sviluppo di un’industria elettronica in Italia. La lettura del libro di Mariana Mazzuccato, “Lo Stato Innovatore”, che tratta della responsabilità dello Stato e conseguentemente della politica che di uno stato rappresenta la mente strategica, può risultare utile nell’avanzare qualche ipotesi su cosa debba essere fatto affinché possano crearsi le condizioni dello sviluppo di un settore e che spesso sono in contrasto con le opinioni comuni: è lo stato che incentiva l’iniziativa privata e non il contrario. Di sicuro la personalità di qualche mente illuminata può risultare fondamentale in un progetto impegnativo come quello di far partire un’industria, laddove con questo termine si intende una collettività di più realtà produttive afferenti ad una tematica comune. Si potrebbe dire, facendo anche riferimento alla personalità di Olivetti già citata in precedenza, che non è questo che è mancato al caso Italia. In realtà va detto che Olivetti non aveva una predilezione per l’elettronica. Lui era ancora molto legato, come tutta l’Olivetti in quegli anni, alla realtà elettromeccanica che all’epoca aveva sicuramente molto più peso di quella dedicata ai calcolatori elettronici.
Non si può però negare che Olivetti fosse una persona moderna e quindi cosa sarebbe potuto accadere se non fosse venuto a mancare quel febbraio del 1960 purtroppo non ci è dato modo di saperlo. D’altro canto non si può immaginare che in Italia non possano essere nate altre personalità visionarie che avrebbero potuto abbracciare un progetto di così lunga veduta. La storia ci dice che nel nostro Paese sono nate persone come Federico Faggin o Elserino Piol che hanno scritto pagine importanti della storia dell’informatica mondiale o, per parlare di cose più recenti, si può parlare di Massimo Marchiori, tra gli ideatori dell’algoritmo di ricerca di Google. Se poi facciamo riferimento a qualcosa di recentissimo come la volontà di Apple – espressa dal suo CEO Tim Cook – di aprire a Napoli il primo centro di sviluppo in Europa si capisce che non è la materia prima che ci manca. A dimostrazione di ciò possiamo ricordare che alcune realtà sono comunque nate e, anche se non sono riuscite ad assumere una figura di spicco in un contesto internazionale, sono comunque diventare realtà di ampio rilievo. Penso ad aziende come Engineering che di certo rappresenta la realtà informatica di maggior rilievo del mercato italiano. Di sicuro un’azienda di grande interesse se si guardano i risultati ottenuti in borsa nei mesi scorsi. Si possono citare anche altre belle realtà aziendali che operano nel mondo dell’informatica e che, nel loro contesto nazionale, si distinguono per i loro più che soddisfacenti risultati. Addirittura qualcuno potrebbe anche ritenersi offeso dalla mia disamina così dissacratoria. Resta però il dato inziale: non esistono molti australiani o canadesi o russi o austriaci o argentini che possano citare un gran marchio italiano appartenente al mondo dell’informatica (ricordate il gioco iniziale?).
Realtà varie si stanno muovendo per affrontare i mercati internazionali ma sembra proprio che manchi una politica coordinata per facilitare questa espansione. È un vero peccato essendo l’industria ICT candidata a essere una delle industrie di riferimento almeno per i prossimi decenni. Sarebbe utile coinvolgere tutte queste interessanti realtà in un confronto con la politica per capire dove si inceppa il meccanismo. Sono convinto che non sia la mancanza di materia prima il problema che assilla questo paese: il nostro paese ha innumerevoli esempi da citare quando si parla di belle teste e di creativi (non quelli che si vestono strano, ma quelli che riescono a trovare soluzioni in modo atipico a problemi seri). La politica non può sentirsi fuori da questa discussione perché solo con la definizione di un piano industriale a lungo termine che definisca un obiettivo chiaro e condiviso e che si attivi per la sua realizzazione potremo aspirare a rientrare in gioco. Ne vale del prestigio della nostra industria, ma ne vale della vita del nostro Paese. A quando il primo passo?