Affidarsi al cloud come infrastruttura portante per la propria azienda è cosa sempre più frequente anche tra le realtà italiane. La ricerca di strategie eterogenee all’interno delle grandi aziende fa di queste le più accreditate nel processo della migrazione in cloud delle infrastrutture. Forse meno per quanto riguarda la migrazione delle proprie applicazioni core, che ancora spesso si preferisce tenere on premise a causa dei costi e tempi necessari per una loro traduzione in modalità a servizio. Un tema di assoluta e sempre più pressante attualità per gli ISV (Independent Software Vendor), per le software house e, in generale, le aziende che all’interno delle proprie attività comprendono lo sviluppano di applicazioni, le quali si trovano di fronte al dilemma di quale strada intraprendere per la migrazione o modernizzazione delle proprie soluzioni per una loro fruizione in cloud e in modalità as a service.
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Strade diverse per la cloud transformation
Il cloud journey può prendere strade diverse, e il fattore tempo può diventare un elemento fondamentale di scelta. L’esperienza mostra, infatti, che la “traduzione” delle applicazioni verso il cloud, deve essere effettuata nel più breve tempo possibile. E in questo, anche il contesto attuale legato alla pandemia Covid-19, ha mostrato quanto sia vitale per molte aziende la possibilità di gestione da remoto delle proprie attività, da attuare in tempi brevi per ridurre al massimo i fermi di operatività.
Mettere le applicazioni a “loro agio”
In un processo di cloud migration, l’obiettivo principale è garantire che le applicazioni e i dati siano ospitati nell’ambiente IT più consono al loro utilizzo e funzionamento, facendo ovviamente particolare attenzione a prestazioni, sicurezza e costi, delle differenti opzioni prese in considerazione.
Esistono prevalentemente due modi per un’azienda per spostare le applicazioni da una infrastruttura fisica verso un ambiente in cloud. Se si opta per un’integrazione soft, si tende a intervenire unicamente sui cambiamenti indispensabili, quelli necessari per far girare l’applicazione in cloud. Nel caso, invece, sia richiesto un intervento più radicale, si devono andare a toccare le applicazioni stesse, cogliendo l’occasione della loro transizione per apportare quelle modifiche necessarie per evidenziare al massimo i vantaggi dei nuovi ambienti cloud.
Non esiste, quindi, un modo unico per intraprendere tale migrazione al cloud, e ognuno di essi presenta vantaggi e svantaggi sulla base delle necessità della singola organizzazione, dai criteri di valutazione delle diverse opzioni praticabili e dai principi architetturali che i responsabili IT promuovono in azienda.
Rehosting – Lift and Shift
Una delle strade che si possono intraprendere nel percorso di migrazione al cloud è il Rehosting, o, come qualcuno preferisce definirlo, “Lift and Shift”, che consiste, come suggerisce il nome, in un vero e proprio spostamento delle applicazioni così come sono, senza essere costretti a modificarne i codici,. Un procedimento certamente veloce che però non beneficia della flessibilità ed elasticità che sono caratteristiche tipiche del Cloud. Senza tenere conto dei costi, che sono nettamente maggiori rispetto a un Replatform dell’applicazione.
Replatforming
Altra opzione di migrazione in cloud è, infatti, il Replatforming, che va a intervenire direttamente nell’applicazione, con alcune modifiche e upgrade utili per essere fruibili al meglio all’interno dell’infrastruttura cloud.
Refactoring
Più drastico è, poi, il Refactoring, che si spinge fino a una riarchitettura o riscrittura addirittura, di parti del codice del software, in modo da essere interamente fruibile via Cloud. Ovviamente questa è una strada più lunga delle altre, ma la garanzia è di una piena compatibilità tra applicazione e ambiente di utilizzo.
A queste opzioni, si aggiunge poi la più drastica, che sembra per ora essere quella in grado di risolvere velocemente la questione.
Il Repurchasing, l’acquisto ex novo dell’applicazione che sia però cloud nativa e immediatamente integrabie e fruibile in un ambiente cloud, pare infatti essere l’opzione scelta dal 42% delle aziende, secondo un survey svolto dall’Osservatorio Cloud Transformation della School of Management del Politecnico di Milano.
Il Rehosting o Lift and Shift riguarda invece il 26% delle opzioni, il Refactoring il 18%, mentre la pratica del Replatforming viene scelta dal 14% delle 200 grandi aziende italiane interpellate in occasione dell’indagine.