Ogni anno, nel corso della primavera, arriva il momento della pubblicazione delle classifiche. In circa 60 Paesi, Great Place to Work presenta la classifica delle migliori aziende nelle quali lavorare, suddivise per dimensione.
Una classifica che GPTW realizza da quasi 30 anni, misurando cultura del posto di lavoro, esperienza dei dipendenti e leadership e un insieme di criteri considerati “universali” e determinanti al fine della valutazione delle aziende candidate.
Una classifica, anzi, più di una, visto che negli ultimi anni sono state aggiunte ulteriori analisi per assegnare un riconoscimento alle imprese che offrono il miglior ambiente di lavoro alle donne, ai Millennial e a chi punta all’Innovation, guardata con sempre maggiore interesse da chi ha ormai capito che, in un mondo in cui i talenti sono “merce rara”, la capacità di attrarli e trattenerli non è più un’opzione.
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Che cosa è la certificazione Great Place to Work
La certificazione Great Place to Work è un riconoscimento definito “Employer-of-Choice”, vale a dire assegnato dai dipendenti stessi dell’azienda. È considerato una sorta di standard e ogni anno sono oltre 10.000 le organizzazioni di tutte le dimensioni che fanno domanda per ottenere la certificazione e- perché no? – scalare la classifica raggiungendo posizioni importanti.
Non si tratta semplicemente di una “bollinatura” o dell’ennesimo certificato.
Per molte aziende raggiungere la certificazione è l’equivalente di scattare una fotografia reale e istantanea sul sentiment che permea l’ambiente lavorativo e di quali siano i rapporti fiduciari che intercorrono tra i dipendenti e l’organizzazione.
La certificazione rappresenta anche un benchmark, un termine di paragone rispetto ad altre imprese concorrenti o dimensionalmente simili.
Rappresenta di fatto anche un impegno formale non solo nel migliorare l’ambiente lavorativo, ma anche nello sviluppare programmi HR che abbiano un impatto positivo sui dipendenti.
Last but not least, rappresenta anche un riconoscimento rispetto al mercato, utile per attrarre e trattenere i talenti.
Quali sono i criteri su cui si basa l’analisi di Great Place to Work
Come abbiamo già accennato, Great Place to Work è un riconoscimento che nasce dalle valutazioni dei dipendenti stessi e che la società assegna sulla base di un percorso di monitoraggio e analisi, costruito secondo una metodologia precisa basata su due strumenti: Trust Index Employee Survey e Culture Audit.
Nel primo caso parliamo di un questionario di circa 70 domande sottoposto direttamente ai collaboratori che misura un insieme di KPI, che vanno dalla credibilità al rispetto, dall’equità alla coesione. Deve essere sottoposto a tutti i collaboratori ed è richiesto un tasso di partecipazione minimo in relazione alla dimensione dell’organizzazione stessa.
Il Culture Audit è compilato invece dal management ed è il documento nel quale sono descritte le politiche HR dell’azienda in relazione a nove aree: Hiring, Celebrating, Sharing, Inspiring, Speaking, Listening, Training, Developing, Caring.
Si tratta di un questionario con quindici domande aperte, che viene sottoposto poi al team di valutatori di Great Place to Work, sulla base di una griglia di assessment strutturata e consolidata a livello internazionale.
Vengono valutate originalità, inclusività, tocco umano, integrazione; viene valutato l’effettivo allineamento tra i valori dichiarati e i valori praticati e quanto questi valori influiscano sulle esperienze quotidiane dei dipendenti; viene valutato il modo con cui l’azienda costruisce e comunica la sua strategia e coinvolge i dipendenti nello sviluppo e nella condivisione di nuove idee. Viene valutato se l’azienda è in grado di rispettare i propri valori anche in tempi difficili.
Perché diventare Great Place to Work
Ma quali sono i motivi che potrebbero portare oggi una azienda a volere la certificazione Great Place to Work?
I motivi emergono da una lettura del percorso che GPTW disegna per le aziende che aderiscono al programma.
La prima fase, come abbiamo detto, è quella della profilazione. È quella in cui sia i dipendenti sia il management rispondono alle survey. È un assessment che richiede due settimane di tempo.
Nella seconda fase, la “palla” passa in mano a GPTW e ai suoi consulenti, che analizzano i questionari e fotografano la situazione, mettendo in evidenza i punti di forza dell’azienda e le aree sulle quali intervenire per migliorare la situazione. È il momento in cui le aziende hanno modo di confrontarsi con i benchmark, capire a che punto si trovano del percorso, imparare dalle best practice.
La terza e la quarta fase sono quelle della certificazione e delle classifiche. Le aziende che raggiungono i requisiti richiesti, ottengono il riconoscimento ufficiale e sono autorizzate fin da subito a utilizzare il logo nelle loro comunicazioni. Se il loro punteggio è sufficientemente elevato, entrano di diritto nella classifica.
Ma è qui che nasce l’opportunità.
Dalla fase di analisi, come detto, emergono sia i punti di forza, sia i punti di debolezza delle organizzazioni aziendali. Ed è nella fase successiva alla valutazione che le aziende possono mettersi al lavoro per migliorare il proprio ambiente di lavoro, prendendo spunto sia dalle indicazioni di GPTW, sia dalle best practice maturate nelle aziende “best performer”.
Chi può diventare Best Place to Work
La premessa è che possono candidarsi a Great Place to Work organizzazioni complete. Non è possibile candidare un solo dipartimento o una sola divisione.
Possono aderire aziende di tutte le dimensioni, anche se 10 dipendenti è il minimo richiesto.
La certificazione non è gratuita, ma il costo varia in base alle dimensioni aziendali.