Red Hat chiude l’anno fiscale 2016 superando i 2 miliardi di dollari di fatturato (2,05 per la precisione) facendo registrare una crescita del 15% anno su anno. I risultati sono stati favoriti dalle performance ottenute nel business dalle architetture abilitanti il cloud (come il middleware JBoss, la piattaforma di implementazione del cloud OpenStack e la tecnologia di supporto al cloud PaaS OpenShift), che ha generato 400 milioni di dollari di entrate (+46% rispetto al 2015), con previsioni di ulteriore accelerazione nei prossimi esercizi.
Un risultato che acquista più valore se si considera che l’88% dei ricavi proviene dal business delle sottoscrizioni (anche queste in crescita del 16%). «Questo significa che il cliente non è vincolato in alcun modo alla nostra offerta, perché se non è soddisfatto del nostro operato l’anno successivo si può rivolgere ad altri vendor – esordisce il country manager, Gianni Anguilletti -. Ecco perché siamo sempre spronati a dare il massimo. Ma lavorare con questo modello di business significa anche che le entrate sono spalmate nel tempo, al contrario di quanto avviene per la vendita di licenze, per le quali c’è una grossa entrata che fa impennare i ricavi nel primo esercizio mentre in quelli successivi si contabilizzano solo i canoni di manutenzione».
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Cavalcare l’onda lunga della nuvola
Le performance ottenute nel cloud riflettono anche l’impegno profuso dai partner in quest’area. Alleati per i quali la scorsa estate è stato attivato, su scala globale, un programma ad hoc – il Red Hat Certified Cloud and Service Provider -. L’idea, oggi come allora, è di riuscire ad ampliare l’ecosistema di soluzioni nella nuvola supportando con iniziative di formazione e generazione di opportunità di business system integrator globali e nazionali, distributori e service provider coinvolti nell’implementazione del cloud ad alte prestazioni, delle soluzioni PaaS (Platform as a service) e delle infrastrutture Linux based, che possono così essere validate e certificate da RedHat.
I CCSP (Certified Cloud and Service Provider) possono utilizzare la tecnologia open source di Red Hat in due modalità: con un’offerta as a service su hardware che il cliente ha in casa (in una sorta di co-location evoluta, dove le risorse sono gestite attraverso un portale) oppure proponendo servizi e funzionalità erogati e gestiti in un ambiente totalmente cloud (pubblico).
L’approccio si fa verticale
Le ragioni del successo della nostra azienda, spiega Anguilletti, «stanno nel circolo virtuoso che si crea dalla combinazione tra evoluzioni tecnologiche e organizzative. Per quanto riguarda la tecnologia, le mosse recenti sono guidate dalla necessità di garantire la completezza funzionale della nostra offerta, come dimostra l’acquisizione dello specialista di orchestrazione Ansible. Ma non trascuriamo anche gli investimenti utili ad assicurare la flessibilità e la miglior integrazione delle nostre tecnologie open verso i componenti e le piattaforme proprietarie. Per quel che attiene all’aspetto dell’organizzazione, invece, c’è da dire che la nostra offerta è arrivata a un livello di sofisticazione tale che non è più possibile adottare un approccio standard di go to market. Questo vuol dire che a fronte di esigenze sempre più complesse del cliente, RedHat risponde con skillset sempre specifici e orientati ai mercati verticali». Tre, in particolare, quelli sui quali si concentra la casa del cappello rosso: servizi finanziari&assicurazioni, telco&media e PA.
«Il modello open source è il nostro mantra – conclude Anguilletti – e non ho timore di sostenere che siamo i leader incontrastati nelle architetture open. La decisione di sposare la massima libertà di scelta per il cliente, lavorando incessantemente per migliorare l’integrazione con le tecnologie di terze parti ci ha premiato e sono certo che sarà la nostra ricetta per il successo anche in futuro».