Il capitale umano è quell’“insieme di capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali possedute in genere dall’individuo, acquisite non solo mediante l’istruzione scolastica, ma anche attraverso un lungo apprendimento o esperienza sul posto di lavoro e quindi non facilmente sostituibili in quanto intrinsecamente elaborate dal soggetto che le ha acquisite”. È la definizione proposta dalla Treccani, che aggiunge: “Pur non potendo essere misurate univocamente, le componenti del capitale umano determinano tuttavia la qualità della prestazione erogata dal detentore, concorrendo ad aumentare la produttività di un’impresa e a qualificarla, influenzandone i risultati”. Mai come oggi, nell’era della great resignation, il legame tra queste componenti e le performance delle aziende appare vitale. Tanto più nelle aziende del mondo tech che da una parte stanno vivendo sulla propria pelle la trasformazione dei modelli di business e degli stili di lavoro, dall’altra si candidano a guidare il cambiamento delle aziende che adottano le loro tecnologie per affrontare adeguatamente le nuove sfide dei mercati.
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Cos’è il capitale umano
Il concetto di capitale umano è stato introdotto per la prima volta dall’economista Theodore Schultz nel 1961 per essere poi ripreso qualche anno dopo da Gary Becker. Entrambi vincitori del premio Nobel per l’economia, Schultz nel 1979 e Becker nel 1992, hanno il merito di aver provato a misurare il valore aggiunto che ogni dipendente e collaboratore apporta a un’organizzazione. Un valore aggiunto che trova nella digitalizzazione una leva essenziale, come si legge nel Rapporto annuale 2022 dell’Istat: “La produttività all’interno dei settori è stata probabilmente influenzata dall’accelerazione nell’adozione delle tecnologie digitali a seguito della pandemia, che ha favorito il ricorso al lavoro da remoto, stimolando le imprese a riorganizzarsi e a diventare più efficienti. La crescita del valore aggiunto per ora lavorata è infatti risultata particolarmente elevata nei settori produttivi maggiormente digitalizzati, in cui il ricorso al lavoro agile è stato tempestivo e più diffuso”. Per comprendere meglio in che modo il capitale umano possa trarre giovamento dalla tecnologia, Made In DigItaly, l’evento organizzato in presenza a Milano dal Network Digital360 e promosso da Microsoft, dedicherà il prossimo 17 novembre una delle sue sessioni al tema “Persone e ruoli”.
Capitale umano e crescita economica
Proprio Microsoft rivendica un growth mindset, una cultura della crescita che il CEO Satya Nadella nella sua introduzione all’annual report 2022 ha ricordato “essere stata utile durante i cambiamenti storici degli ultimi anni”. A dimostrarlo ci sono i numeri: un capitale umano disponibile tramite le 220 mila persone che lavorano per la multinazionale, capace di generare un fatturato pari a 51,7 miliardi di dollari. È un esempio lampante che attesta la connessione tra capitale umano e crescita economica sottolineato anche da diversi studi. L’economista Tullio Jappelli ad esempio sostiene che “il fatto che chi ha un alto livello di istruzione percepisce retribuzioni maggiori è considerato una prova di come il mercato valuta il suo capitale umano. Si calcola che nei paesi sviluppati acquisire un anno in più di istruzione aumenta le retribuzioni di quasi il 10 percento”. Dati che trovano conferma a livello internazionale nella “relazione tra reddito pro capite e livello di istruzione. Paesi con un grado di istruzione medio pari a 12 anni hanno un reddito pro capite 8 volte superiore a quelli con grado di istruzione pari a 6 anni”. Con un aspetto molto importante messo in luce dalla ricerca recente: a contare non è solo il periodo di tempo trascorso sui banchi dell’istruzione formale, ma anche le competenze acquisite al di fuori. Cosa che del resto è rimarcata da Microsoft nel suo ultimo report, quando evidenzia che la “cultura della crescita inizia con l’attribuire valore all’apprendimento (learning) piuttosto che alla conoscenza (knowing)”.