Sin dalle prime avvisaglie di successo, i creatori di Whatsapp avevano rassicurato gli utenti, spiegando che mai avrebbero inserito pubblicità tra le pagine della piattaforma per monetizzare dai milioni di iscritti. Vero, dopo anni sulla cresta dell’onda il servizio non si è mai “venduto” agli inserzionisti, mantenendo sempre una perfetta coerenza con gli intenti. Ma da una parte o dall’altra il team doveva pure portare a casa un po’ di soldi, dopo l’abbandono definitivo al pagamento annuale di pochi centesimi di euro, che pure aveva fatto scatenare le ire dei navigatori. Ecco allora l’offerta imperdibile: 14 miliardi di dollari da parte di Facebook a febbraio del 2014, per portare sotto il cappello di Menlo Park l’app dall’iconica cornetta verde. Troppo per rifiutare, affare fatto, Zuckerberg ha il suo giocattolino.
Dati preziosi
Anche il lentigginoso imprenditore statunitense aveva seguito la falsariga dei fondatori Brian Acton e Jan Koum, negando l’avvento di fastidiosi banner tra le chat. Strano, fin troppo, che il matrimonio tra il social network e Whatsapp dovesse proseguire così, senza pericolosi incroci. E infatti il giorno del riscatto è arrivato il 25 agosto 2016, con un aggiornamento delle politiche di utilizzo in cui l’app apre le porte allo scambio di informazioni con Facebook, dalle conseguenze non così chiare. In teoria, la motivazione risiede nella possibilità di permettere al social network di farsi un’idea sempre più precisa di chi siamo e cosa ci piace, connettendo i metadati (quindi non il contenuto delle chat) con i like e le interazioni con gli amici della propria rete. La pratica è però diversa: una volta che i brand abilitati avranno accesso al numero di telefono dei propri clienti, potranno contattarli per avvisarli sulla disponibilità del prodotto ordinato, sulle date di consegna, persino su sconti e coupon dedicati. Se non è pubblicità questa, poco ci manca.
L’azione del Garante
Anche per questo, il Garante per la privacy vuole maggiore chiarezza sull’introduzione della nuova policy di Whatsapp. L’autorità per la protezione dei dati personali in Italia ha aperto un’istruttoria con cui vuole conoscere nel dettaglio “la tipologia di dati che WhatsApp intende mettere a disposizione di Facebook; le modalità per l’acquisizione del consenso da parte degli utenti alla comunicazione dei dati; le misure per garantire l’esercizio dei diritti riconosciuti dalla normativa italiana sulla privacy, considerato che dall’avviso inviato sui singoli device la revoca del consenso e il diritto di opposizione sembrano poter essere esercitati in un arco di tempo limitato”. C’è inoltre da capire se “i dati riferiti agli utenti di WhatsApp, ma non di Facebook, saranno comunicati alla società di Menlo Park e in che modo potranno essere forniti elementi riguardo il rispetto del principio di finalità, considerato che l’informativa originariamente resa agli utenti WhatsApp non faceva alcun riferimento agli scopi di marketing”.
La mossa dell’authority nostrana arriva dopo quella della controparte tedesca, con il garante per la privacy della città-regione di Amburgo, Johannes Caspar, che ha espressamente vietato a Facebook di ottenere i dati dei circa 35 milioni di utenti tedeschi di Whatsapp e di cancellare quelli già raccolti.