La storia del cloud nel 2016 è stata in gran parte dominata dal cambio di atteggiamento delle aziende verso i servizi off-premise e dall’impatto che questa maturazione sta avendo sull’interno mercato IT.
Ma quali sono stati, in generale, i passi più decisivi compiuti dal cloud nell’anno che sta per concludersi?
Indice degli argomenti
Il cloud ha cambiato le abitudini di acquisto nell’IT
Gli esperti IDC hanno notato come l’aumento dell’utilizzo di cloud tra le imprese abbia avuto un impatto (anche) sui produttori di hardware; questo trend lascia presagire un calo costante delle vendite di storage on-premise, kit di networking e server negli anni a venire. Gli analisti di Gartner hanno approfondito questo aspetto, suggerendo che la minore domanda di server da parte delle aziende è controbilanciato dalle attività delle imprese di cloud hyperscale che cercano di equipaggiare i loro data center.
La trasformazione digitale sta accelerando
Quest’anno ha visto realtà del calibro di Amazon Web Services, Microsoft, Google e IBM concentrare i propri sforzi per cambiare il focus sul cloud aziendale. Mentre le imprese hanno disquisito per anni su come il ridimensionare i data center attingendo a risorse di cloud pubblico avesse fatto risparmiare loro denaro e avesse potenziato la loro agilità di business, i CIO oggi stanno cercando di partire da questo lavoro per accelerare gli sforzi di trasformazione digitale. In risposta a questo atteggiamento, dunque, i quattro big del mercato cloud internazionale hanno trascorso gran parte del 2016 a spiegare il lavoro che stavano (e stanno) facendo per ampliare il proprio portafoglio prodotti tra big data analytics, machine learning, intelligenza artificiale e oltre.
Il periodo d’oro del concetto di multi-cloud
Via via che la predisposizione delle aziende verso l’uso del cloud pubblico è cresciuta, si è fatta sempre più strada anche l’idea che un’azienda possa affidarsi a molteplici fornitori. Gli analisti hanno notato che le aziende sono sempre più consapevoli e preparate sul tema del cloud e questo le sta spingendo a puntare su diversi provider nell’ottica di una gestione ottimale dei carichi di lavoro in una varietà di ambienti, con l’obiettivo di evitare eventuali blocchi dovuti a un fornitore e aumentare così l’agilità del business nel suo complesso.
In crescita il ruolo di OpenStack
Quest’anno, il numero di imprese con ambienti cloud in costruzione sulla piattaforma OpenStack ha continuato ad aumentare. La Fondazione OpenStack, negli ultimi tempi, ha visto infatti crescere il numero di imprese importanti tra gli utilizzatori della piattaforma, con nomi del calibro di Santander, HMRC e Volkswagen. In linea con questi dati anche i risultati raccolti dagli analisti di 451 Research, i quali confermano un aumento dell’uso di OpenStack all’interno delle aziende con implementazioni su piccola scala che stanno dando origine a enormi ambienti multi-core in grado di impattare positivamente sulla bottom line.
Dopo il suo testa a testa contro Amazon e Microsoft sul fronte del cloud, Rackspace – l’azienda co-fondatrice di OpenStack – ha cambiato strategia, ha trascorso buona parte degli ultimi due anni cercando di riposizionarsi offrendo supporto tecnico ai propri clienti intenzionati a migrare su Amazon Web Services e da fornitore di servizi cloud ha scelto di orientarsi sui servizi gestiti. Durante questo periodo, l’azienda si è trovato al centro di speculazioni sul suo futuro come società indipendente quotata in borsa dopo che, nel 2014, la dirigenza tentò senza successo di trovare un acquirente per l’azienda. Tuttavia, lo scorso agosto, la società ha confermato di essere pronta per l’acquisizione da parte della società di investimento private equity Apollo Global Management, per 4,3 miliardi di dollari.
L’introduzione dell’EU-US Privacy Shield
Nel mese di ottobre del 2015 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato l’invalidità del Safe Harbour (accordo che permetteva alle aziende americane di spostare i dati personali dei cittadini dell’Unione Europea negli Stati Uniti) a causa dei rischi per la protezione dei dati dei cittadini europei. L’accordo, risalente al 2000, è stato considerato poco sicuro per i cittadini europei: uno dei punti su cui la commissione ha posto l’accento è stato il fatto che per la legge USA le autorità statunitensi possono accedere ai dati liberamente. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha così imposto alla Commissione europea di negoziare con gli Stati Uniti un Safe Harbour 2. Il 31 gennaio 2016 l’accordo è scaduto e nel mese di febbraio è stato sostituito dall’EU-US Privacy Shield.
CISPE: il cloud in Europa ha un suo codice di condotta
Con l’obiettivo di garantire ai cittadini e alle aziende paternità e controllo dei dati, rafforzando la sicurezza e la trasparenza contrattuale in Europa, nel settembre del 2016 è stato siglato un codice di condotta da un gruppo di provider operanti in oltre 15 Paesi diversi: Arsys, Art of Automation, Aruba, BIT, Daticum, Dominion, Fasthosts, FjordIT, Gigas, Hetzner Online, Home, Host Europe Group, IDS, Ikoula, LeaseWeb, Lomaco, Outscale, OVH, Seeweb, Solidhost, UpCloud, VTX, XXL Webhosting, 1&1 Internet.
Il CISPE (Cloud Infrastructure Services Providers) ha un suo preciso manifesto programmatico e precede di diversi mesi i dictat del nuovo Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) europeo che entrerà a pieno regime solo nel maggio del 2018.
Attraverso un insieme di regole tecniche relative alla sicurezza e alla protezione dei dati all’interno dei territori europei Il CISPE stabilisce come i provider di infrastrutture Cloud non tratteranno i dati a proprio beneficio. Nello specifico, non potranno effettuare operazioni di data mining o profilare i dati dei loro utenti per attività finalizzate al marketing e alla pubblicità, così come per scopi personali o per la rivendita a società di terze parti. I provider certificati dal codice di condotta del CISPE, inoltre, dovranno offrire ai loro clienti la capacità di processare e archiviare i dati esclusivamente nei territori Ue e dell’area economica europea, garantendo che il trattamento e il salvataggio dei dati si svolga all’interno dei confini dei Paesi membri della UE o della SEE.
Le conseguenze della Brexit
La scelta del Regno Unito di lasciare l’Unione Europea ha avuto un impatto immediato sui prezzi di alcuni servizi cloud, grazie alla propensione delle imprese cloud degli Stati Uniti di fatturare in dollari per l’utilizzo delle loro offerte. Secondo il Cloud Price Index Data di 451 Research nel post Brexit i clienti residenti in UK si troveranno a pagare di più per gli stessi servizi a causa delle oscillazioni valutarie. In linea con questi dati, Microsoft ha confermato un aumento dei prezzi: dal 1 ° gennaio i nuovi abbonati ai servizi cloud dovranno pagare il 22% in più.