Il miglioramento del prodotto rimane l’obiettivo principale dell’innovazione delle piccole imprese italiane.
La seconda parte dello studio di Rete Imprese Italia, l’associazione che riunisce Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti, mette in risalto l’attenzione degli imprenditori per il miglioramento della qualità del loro core business.
E in seconda battuta ci sono ancora i prodotti che devono però essere valorizzati attraverso la ricerca di nuove soluzioni che ne favoriscano l’accesso a nuovi mercati o ne migliorino il posizionamento commerciale.
A seguire si passa allo standard di produzione con gli aspetti quantitativi, (quanto produrre) e tecnologici. Ma siamo a un livello di attenzione nettamente inferiore, così come meno prioritari appaiono i costi della produzione.
Le peculiarità dei vari settori
Si tratta di obiettivi generali che cambiano con la declinazione nei vari settori. Per esempio nel settore delle costruzioni appare determinante l’esigenza di ridurre l’impatto ambientale e di migliorare la salute e sicurezza sul lavoro.
Una quota significativa delle aziende di questo settore punta invece a ridurre i costi di materiali ed energia e aumentare la capacità produttiva, mentre tipica dell’industria è l’enfasi sulla funzione commerciale da un lato e il contenimento del costo del lavoro dall’altro.
Nei servizi l’innovazione si traduce con la ricerca di una qualità più elevata delle prestazioni rese e con l’abbandono dei processi obsoleti.
Le differenze con le grandi imprese
Rispetto alle imprese di maggiori dimensioni, se è analoga la quota di chi intende privilegiare il prodotto, ci sono ampie differenze per questioni come costo del lavoro, materiali, energia e sostituzione di prodotti obsoleti come l’arrivo su nuovi mercati.
Per i medio-grandi sono priorità, mentre i piccoli sono molto più sensibili a un’innovazione che gli permetta di avere una maggiore capacità produttiva.
Le difficoltà delle piccole imprese
Di fondo c’è comunque una ovvia maggiore difficoltà a innovare da parte delle piccole aziende che considerano i costi legati all’innovazione troppo elevati. Incide pesantemente anche la mancanza di risorse economiche all’interno dell’azienda, la mancanza di fonti di finanziamento esterne.
Accanto a fattori di tipo esclusivamente economico ci sono anche l’instabilità della domanda o la difficoltà a operare in mercati con player già consolidati, la mancanza di personale qualificato, di partner di informazioni su mercati e tecnologie.
L’importanza delle reti d’impresa
La solitudine delle piccole imprese è evidente e se da una parte è necessaria una revisione delle politiche di sostegno e incentivo squilibrate a favore delle imprese medio-grandi (ma molto difficili in momenti di crisi delle finanze pubbliche), dall’altra lo studio coglie l’occasione per ribadire l’importanza delle reti d’impresa o altre forme di cooperazione di filiera.
A oggi sono 6.967 le imprese con accordi di cooperazione fra il 2008 e il 2010. Ma ci sono molte imprese oltre i 50 addetti.
“Sembrerebbe – spiega lo studio – che le piccole imprese siano a tal punto intenzionate a custodire gelosamente lo spazio della propria indipendenza al punto da lasciarsi sfuggire le opportunità cui potrebbe accedere mediante una maggiore integrazione della filiera”.
La realtà è però un po’ più complessa perché in Italia l’innovazione si propaga non tanto con accordi formali, ma soprattutto per osmosi.
La filiera produttiva rappresenta lo spazio vitale che favorisce il diffondersi spontaneo delle conoscenze grazie ai rapporti con i fornitori, agli input dei clienti e, soprattutto in ambito distrettuale, ai rapporti con la concorrenza.
I rapporti di rete hanno la meglio su quelli più formali di cooperazione. E ognuno mantiene la propria identità e autonomia.