La seconda giornata del Red Hat Summit (qui tutto sulla prima) che si sta svolgendo in queste ore è stata caratterizzata – e non poteva essere altrimenti – dal discorso di Jim Whitehurst, Ceo e presidente della compagnia. Particolarmente ispirato, il numero uno della società dal cappello rosso è intervenuto su un tema a lui particolarmente caro, quello dell’organizzazione aziendale, tanto da aver pubblicato negli anni scorsi un libro di discreto successo “The open Organization”. Il punto di partenza del Ceo di Red Hat è ovviamente la trasformazione digitale, che sta scuotendo dalle fondamenta i consolidati modelli di business aziendali, imponendo quindi alle aziende di agire in maniera più rapida e agile.
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Un nuovo modo di pensare l’organizzazione aziendale
Concetti che abbiamo sentito più volte in convegni e seminari di vario tipo, ma è proprio qui che l’analisi di Whitehurst si differenzia, interrogandosi su come sia effettivamente possibile agire in maniera innovativa. Sinora le organizzazioni erano abituate a pianificare le proprie strategie seguendo un classico schema basato su tre punti: plan, prescribe ed execute. Ma in un mondo instabile e incerto come quello attuale, la capacità delle aziende di prevedere e definire posizioni strategiche sta diminuendo progressivamente, riducendo il valore della classica pianificazione strategica a lungo termine e dell’esecuzione. Per questo secondo Whitehurst è necessario ripensare completamente l’organizzazione aziendale, in modo da consentire a dipendenti e collaboratori di pensare e agire in modi nuovi e innovativi. La proposta è quella di adottare un nuovo schema, basato su tre principi completamenti nuovi: configure, enable ed engage, che in buona sostanza prevedano la partecipazione attiva delle persone.
L’open source porta a un’azienda Open
Tutto questo, naturalmente, ha molto a che fare con la strategia adottata internamente da Red Hat e anche con l’IT stesso. Da un punto di vista tecnologico, infatti, concetti in apparenza astratti come enablement ed engagement si traducono concretamente nel mettere a disposizione i giusti strumenti, prodotti e soluzioni nel tempo giusto e in mano alle persone giuste. Pane per i denti, insomma, dell’open source e di Red Hat, in particolare della sua piattaforma OpenShift, che è stata spinta parecchio nel corso di tutto il Red Hat Summit, decisamente più del sistema operativo Linux (che tra l’altro ancora assicura ancora la maggioranza delle revenue al gruppo). Affianco a WhiteHurst si sono alternati sul palco i rappresentati di alcuni dei principali clienti a livello globale di Red Hat, tra cui T-System, UPS, Lufthansa, che stanno riuscendo a cavalcare l’innovazione tecnologica grazie a un approccio tecnologico e organizzativo open. Il punto comune di tutti i discorsi è che l’open source e la piattaforma Open shift in particolare, consente di ridurre i costi e aumentare nettamente la velocità dello sviluppo applicativo.
Un milione di sviluppatori
Red Hat, dal canto suo, è decisa a continuare a innovare, mettendo a disposizione di partner e clienti finali qualcosa di più di un semplice supporto: in questo senso, nell’ultimo biennio, vanno ad esempio gli Open innovation Labs, che si propongono di facilitare l’adozione della rivoluzione open source in azienda. Sempre nella logica dell’enablement del cliente finale, anche i partner di canale sono chiamati a giocare un ruolo importante. Per questo Red Hat punta molto sull’Online partner enablement network, dotato si strumenti che dovrebbero aiutare i partner in questo difficile compito. A proposito di ecosistema, l’appuntamento di San Francisco è stata l’occasione per celebrare il ruolo degli sviluppatori, a cui Red Hat ha dedicato un apposito programma tre anni fa. In questi giorni la community ha tagliato il traguardo simbolico di un milione di developers e a loro il gruppo open source chiede di guardare sempre di più all’evoluzione del mondo IT, sempre meno concentrato sul software classico e sempre più orientato in ottica hybrid cloud.