Le Tech companies sono profondamente immerse in mercati decisamente complessi, in cui a fare la differenza è soprattutto la capacità di offrire consulenza e servizi innovativi. In questo contesto, è difficile pensare di riuscire a fornire tutto ciò di cui il mercato ha bisogno con una struttura ridotta anche da un punto di vista dimensionale. Per questo motivo non pochi operatori del canale e digital companies stanno cercando di trovare la strada giusta per la crescita, che non deve per forza arrivare soltanto con le proprie forze, ma che può passare anche dal supporto finanziario esterno. Le strade a disposizione sono numerose, come ha messo in evidenza una speciale tavola rotonda che si è tenuta in occasione del recente Tech Companies Lab. Anzi, come ha spiegato Kevin Tempestini, CEO, di KT&Partners, probabilmente non esiste un momento migliore dal punto di vista degli strumenti a disposizione degli imprenditori che vogliono avviare un percorso di crescita.
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La possibilità della quotazione
Una possibilità per raccogliere capitali freschi senza per forza perdere il controllo societario, è rappresentata dalla quotazione in Borsa, uno strumento che forse non è stato ancora adeguatamente sfruttato dagli operatori ict italiani. Come ha raccontato Luca Di Liddo, Partner responsabile Corporate Finance, CFO SIM, dal 2009 a oggi nel segmento AIM (riservato cioè alle medie imprese) sono stati raccolti ben 4,9 miliardi di euro, di cui cui 3,9 tramite le Ipo. Di norma, quando si avvia un’operazione di questo tipo, possono essere raccolti circa 4-5 milioni di euro quando gli investitori arrivano soltanto dal territorio nazionale, ma il quantitativo può salire a 20-30 milioni quando si riesce a catturare l’interesse di attori esteri. Inoltre il settore digitale è il secondo più rappresentato all’Aim dopo l’industria, una ventina di aziende in tutto. Molto spesso queste aziende hanno continuato a crescere dopo la crescita, internazionalizzandosi e andando anche al mercato principale. Ovviamente non poche Tech Companies potrebbero essere spaventate dalla complessità dell’operazione, ma un caso di successo presentato in occasione del Tech Companies Lab permette di comprendere come questo processo possa essere affrontato nella maniera adeguata.
Il caso Cyberoo
Il caso in questione è quello di Cyberoo, una Pmi innovativa attiva nel comparto della cybersecurity, che lo scorso ottobre ha completato il suo processo di quotazione presso il segmento AIM di Piazza Affari. Le ragioni alla base della quotazione sono state raccontate da Veronica Leonardi , CMO & Investor Relations Manager, Cyberoo: “Una volta sviluppata la tecnologia abbiamo avuto la necessità di trovare dei fondi per sostenere la nostra crescita; abbiamo vagliato diverse possibilità, decidendo infine per l’Ipo che ci consentiva di mantenere il controllo societario, anche se forse abbiamo avuto accesso a una quantità di finanziamenti minori. A posteriori si è trattato comunque di una iniziativa di successo: abbiamo raccolto capitali per 7 milioni di euro, 5,6 volte rispetto alle aspettative. In concomitanza con la quotazione abbiamo poi riscontrato un notevole aumento della nostra visibilità”. L’esperienza di Cyberoo può insegnare alle altre aziende tech come quello della quotazione sia un percorso decisamente impegnativo, che deve avere alle spalle un progetto credibile. In particolare, occorre scegliere correttamente l’advisor, che deve riuscire a valorizzare al meglio le caratteristiche dell’azienda quotata, trasformando il know how in qualcosa di appetibile per investitori. In positivo, è poco nota l’esistenza di detrazioni fiscali legate alle spese di quotazione, che permettono di ammortizzare una quota significativa di costi.
Le alternative alla quotazione
La quotazione all’Aim, come abbiamo detto in precedenza, non rappresenta l’unica strada possibile: esistono infatti altri mercati in Europa (in particolare l’Euronext di Parigi) che permettono di fare operazioni di portata più piccola, attirando soprattutto investitori attenti all’aspetto tecnologico. Una strada alternativa è quella di accettare l’immissione in azienda di capitali esterni. Scelta che non comporta necessariamente perdere il controllo: ” Anche se un imprenditore dovesse perdere la maggioranza, gli rimangono le competenze sul suo mercato, che noi come investitori certo non possediamo”, spiega Andrea Bovone, Partner, Equinox.
Secondo Mauro Pretolani, Senior Partner FII Tech Growth, Fondo Italiano D’Investimento, “Il Private equity italiano 4 o 5 anni fa era ancora molto piccolo, ora invece c’è la concreta possibilità di raccogliere una quota consistente di capitali. Come Fondo investiamo in aziende con un livello di ambizione elevato, che sono disposte a rischiare qualcosa in più. D’altra parte è oggi difficile realizzare un prodotto di valore mondiale con poche persone alle spalle”. Sulla stessa linea Antonella Beltrame, Partner di Indaco Sgr Spa e Investment Director del fondo Indaco Venture Partners, secondo cui “Le aziende hanno bisogno di una spinta importante per per competere in Italia e all’estero. Dal nostro punto di vista l’importante è che abbiano un’unicità e un vantaggio competitivo”.