Avviare una avventura imprenditoriale con un obiettivo ben chiaro in testa: lavorare in un ambito di mercato che stava iniziando ad affermarsi, quello dei big data, prestando attenzione non solo agli aspetti tecnologici, ma anche allo sviluppo di business innovativi.
È su questa premessa che nel 2014 Alberto Firpo, oggi CEO della società, e Paolo Platter, oggi CTO, hanno dato vita ad Agile Lab.
“Siamo partiti con un focus sul mondo del Finance per poi gradualmente espandere la nostra copertura del mercato, fino ad arrivare alla situazione attuale, che ci vede lavorare in sostanza in tutti i principali settori, banche, assicurazioni, utilities, industria…”, spiega Firpo.
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Un approccio nuovo alla gestione del dato
Il dato come core business, dunque, ma senza nessun retaggio precedente in ambiti attigui, dalla business intelligence al data warehousing. “Dal nostro punto di vista è stato il nostro vantaggio: ci siamo costruiti una competenza senza un retaggio legacy, ma con degli approcci tecnologici sostanzialmente nuovi, privi di vincoli rispetto a vecchie modalità di gestione del dato”.
Con questo approccio Agile Lab ha cominciato a guardare ad aziende disposte a mettersi in gioco su qualcosa di nuovo e innovativo, sia dal punto di vista del modello di business, sia dal punto di vista organizzativo, in grado di creare nuove efficienze.
Quanto al modello di business, Agile Lab è partita con un forte orientamento ai servizi, cercando di capire quanto il mercato fosse davvero pronto. “Noi abbiamo cercato di mettere subito a terra le nostre idee con i clienti: era la premessa necessaria per capire effettivamente quello che sarebbe successo. Nel corso del tempo poi ci siamo costruiti degli asset, dando vita a una baseline di servizi ricorrenti da proporre ai nostri clienti”.
Dal modello a subscription agli spin off, per una realtà da 6 milioni di euro
Una chiara visione del business e una gestione finanziaria molto oculata sono le due caratteristiche che hanno portato Agile Lab a diventare oggi una realtà da 6 milioni di euro e una sessantina di dipendenti e collaboratori.
“Ci siamo autofinanziati, assorbendo gradualmente gli investimenti fatti. Oggi di fatto non abbiamo debiti. Siamo stati anche fortunati con i nostri clienti, che non ci hanno mai generato problemi dal punto di vista finanziario, quindi ci siamo di fatto auto sostenuti con il business. Poi sono arrivati i servizi di subscription che hanno cominciato a generare revenue e adesso abbiamo un EBITDA buono per essere una società che non si basa solo sulle subscription, intorno al 25%”.
Nel tempo poi, la struttura di Agile Lab si è arricchita anche di diversi spin-off o società secondarie, focalizzate su ambiti diversi dal core business della capofila, dal training all’Artificial Intelligence alla Computer Vision: “Abbiamo segregato, a livello organizzativo, alcune competenze, dando vita di fatto a mini-sistema, efficiente dal punto di vista finanziario”.
Crescere internazionalizzando
Arrivati a questo punto, per Agile Lab è arrivato il momento di decidere cosa fare per sostenere la propria crescita futura.
“Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo cominciato a guardare all’internazionalizzazione. Va detto – spiega Alberto Firpo – che con alcuni dei nostri clienti, in particolare quelli con una presenza internazionale, noi già lavoravamo all’estero. In questo caso abbiamo voluto vedere in autonomia se la nostra proposition fosse attraente anche all’estero, misurando anche la nostra capacità di gestire clienti acquisiti in altri Paesi. Siamo partiti non con un progetto di internazionalizzazione full, ma per gradi. Oggi abbiamo costruiti un network interessante in particolare nei Nordics, in Svezia, e da lì ora partiamo per lo sviluppo successivo”.
Interessante, in questo percorso, è che Agile Lab lo abbia voluto fare su uno dei temi più innovativi della sua proposta, il data mesh: “Abbiamo messo a segno un doppio risultato: acquisire clienti all’estero e validare un trend sulla gestione dei dati”.
Ora è il momento dello stello step successivo: da un lato il prosieguo del percorso di internazionalizzazione, sempre partendo da Nordics, dall’altra la ricerca di nuove opportunità, che siano joint venture, M&A, fund raising.
“Laddove finora ci siamo mossi in una logica opportunity driven, ora bisogna farlo in modo più strutturato, con investimenti di altro livello. Il nostro obiettivo è uscire dall’alveo dell’Italia: abbiamo dimostrato di saperlo fare e ora lo facciamo. È un po’ il nostro spirito: prima dimostriamo che si può fare e poi ci allarghiamo”.
Gli asset della proposta Agile Lab
L’asset principale sul quale Agile Lab ha costruito la propria proposition si chiama Wasp, una piattaforma, un framework, che consente di trattare dati in realtime, ma con scale e volumi elevati.
“Su questo framework abbiamo sviluppato diversi verticali che ci hanno consentito poi di sfruttare la presenza di tecnologie standard del mondo big data e quella di cloud provider ai quali noi ci agganciamo nativamente. Tramite questo framework acceleriamo il Time to Market, quindi lo sviluppo del caso d’uso da portare sul mercato, con un approccio che deriva dal mondo open source, senza inserire lock in o silos di dati all’interno dell’azienda. Questo ci consente di lavorare sulle scelte tecnologiche che l’azienda ha fatto, senza introdurre l’ennesimo silo di dati disconnesso dal mondo, né i lock in dei mondi verticali. È di fatto una via di mezzo tra un make e un buy”.
Dal Full Service all’adoption
Agile Lab propone i propri servizi in diverse modalità, dal Full Service fino all’adoption. In questo caso tutta la gestione è in mano al cliente che corrisponde una recurring fee per i servizi di supporto.
“Su questo punto di partenza si innesta poi tutto il focus sul data mesh, di cui siamo stati pionieri in Italia. Con un cliente stiamo portando in produzione una piattaforma full-mesh, ci abbiamo lavorato per tutto il 2020, cercando di mettere a terra concetti che stavano maturando sul mercato. La nostra fortuna è stata proprio quella di anticipare i tempi, avendo la capacità di comprendere i vantaggi di questo tipo di pratica, sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista architetturale sia dal punto di vista organizzativo. E questo ci ha dato la possibilità di comprendere come inserire in data mesh in asset che avevamo”.
In concreto, per Agile Lab questo significa far evolvere il propri asset in una logica data-mesh ready e farne una nuova proposition – anche in termini di branding – per un mercato che nel frattempo matura, esattamente come accadde a suo tempo con i Data Lake.
“Dal nostro punto di vista è un paradigma che risolve una serie di problematiche che le aziende stanno riscontrando e di cui sono consapevoli: il pattern di centralizzazione delle attività e dei dati, che si è utilizzato fino adesso, è superato e ci si muove verso la decentralizzazione delle ownership di serving dei dati. Si introducono nuovi livelli di accountability e nuovi livelli di efficienza, rendendo possibile scalare Iniziative di business in maniera veloce, senza dipendere necessariamente dall’IT, che tuttavia rimane al governo del sottostante tecnologico”.
I mercati target
È un approccio che ben si adatta ad aziende di grandi dimensioni, dotate di molte business unit, magari internazionali, e in ogni caso caratterizzate da una certa complessità organizzativa.
“Un ulteriore acceleratore è rappresentato dalla crescente cloudizzazione delle imprese. Quelle aziende che avevamo scelto di avere in casa i propri data lake, oggi si trova ad avere una tecnologia non più adatta ai nuovi trend, che non si presta allo scaling. E la nostra soluzione rappresenta una risposta”.
Per quanto riguarda i mercati indirizzati, uno dei principali è rappresentato dalle utility. “Si parla delle tante declinazioni che derivano dal mondo IoT e che trovano spazio in applicazioni in ambito smart city, smart grid, e di nuovo nelle applicazioni dei data mesh. Pensiamo ad esempio al mondo energy e al tema delle rinnovabili che si innestano in un in un network di distribuzione che deve tenere conto di un bilanciamento di energia che cambia giornalmente. Pensiamo alla mobilità elettrica. Sono ambiti di applicazione interessanti per il nostro framework, perché richiedono di analizzare in tempo reale i dati provenienti da sistemi e sottosistemi, per avere visibilità sui carichi, sui picchi, sugli outage…, prevedere scenari e inviare automaticamente comandi in risposta alle possibili situazioni di criticità”.
Dal Pay per Use ai modelli Usage Based
Un ulteriore ambito è quello assicurativo: “In Italia l’ambito telematico è sempre stato importante, forse più che altri che in altri Stati europei, anche in contrasto alle frodi. Ora però sono emerse esigenze più innovative perché c’è la necessità di far fronte a un altro trend di mercato, il cosiddetto usage based. È un tema che in realtà si trova anche in altri ambiti, ma che nel mondo assicurativo si lega al tema del Pay per Use o del Pay-How-You-Drive. Si raccolgono informazioni dai device utilizzati durante la guida: non parliamo più solo di Black box ma di un approccio smartphone based, che offre un’altra visuale sul comportamento alla guida, rilevando anche quegli aspetti che la black box non è in grado di rilevare, dando maggiore completezza al profilo di rischio, che può essere utilizzato in diversi modi, da quello più tradizionale, per attività di marketing, a quello più innovativo, con nuovi modelli di business, che magari in Italia non ci sono ancora ma si stanno sviluppando già Oltreoceano”.