Poche settimane fa un riconoscimento importante: conquistare il secondo posto nella classifica Great Places to work nella categoria delle imprese da 50 a 149 dipendenti stilata da Great Place To Work, società internazionale specializzata nell’analisi della cultura dell’ambiente di lavoro, nel suo miglioramento e nell’employer branding.
Per Insight Italia la conferma che l’attenzione alla creazione di un ambiente lavorativo armonioso sia un obiettivo perseguibile e raggiungibile anche in un anno complesso qual è quello trascorso.
Per questo abbiamo chiesto a Pietro Marrazzo, Country Manager della società e a Federica Sessa, Responsabile Risorse Umane, un confronto non sul premio, ma sulla filosofia e sulla strategia su cui si costruisce la relazione tra l’azienda e i suoi collaboratori e dipendenti, tenendo conto che stiamo parlando di una realtà con un organico di 80 persone, in crescita.
“Una realtà – spiega Piero Marrazzo – focalizzata su tre linee di business ben definite: Connected World, ovvero soluzioni e tecnologie che aiutano le imprese ad essere più produttive e dunque tutto il mondo della Collaboration e della Communication con un forte commitment sulle tecnologie Microsoft; Cloud Data Center Transformation, quindi le soluzioni che consentono di creare ambienti Data Center Smart, in logica hybrid e multi cloud; infine i servizi evoluti in ambiti quali intelligenza artificiale mixed reality e application modernization”.
Indice degli argomenti
Lo Smart Working come vocazione
Se lo smart working è una delle proposition centrali di Insight, non è difficile comprendere come la società non sia stata colta impreparata allo scoppio della pandemia.
“Fin dal 9 marzo siamo stati in grado di chiudere gli uffici e permettere a tutti di lavorare da casa, perché eravamo già organizzati e strutturati. Già da tre-quattro anni in azienda abbiamo implementato strumenti, soluzioni e metodologie smart e questo ci ha sicuramente favoriti. Gli stessi strumenti e le stesse metodologie con le quali abbiamo cercato di aiutare le imprese che ancora non avevano adottato una modalità di lavoro agile”.
Il benessere come obiettivo fin dall’ingresso in azienda
Ma non è solo su questo aspetto che Insight ha costruito il rapporto e la relazione con i propri dipendenti.
Ed è qui che entra in gioco Federica Sessa.
“Ho avuto una fortuna di vedere negli ultimi sei anni questa azienda passare da 36 a 80 persone e anche l’onore di essere in parte responsabile dell’inserimento delle persone che operano in azienda, insieme al mio team”. È
Se l’obiettivo del team HR in Insight è quello di generare e mantenere un clima di successo e di benessere, è necessario perseguirlo fin dall’inizio della relazione con il dipendente e collaboratore.
“È fondamentale scegliere le persone giuste da portare in Insight. Cerchiamo nei candidati anche quelle caratteristiche valoriali e di personalità che sono vicine al nostro essere. Questo non significa omologazione, anzi: abbiamo una eterogeneità nelle personalità in azienda fortissima, ma sul lavoro tutti si riconoscono negli stessi valori”.
Una volta selezionato il candidato, per Federica Sessa è cruciale proprio la fase di accoglienza e inserimento delle persone.
“Cerchiamo di essere aperti e trasparenti: vogliamo mettere le persone a proprio agio e fare in modo che le persone abbiano la sensazione di entrare in una realtà che può diventare a casa loro. Dall’analisi fatta da Great Place to Work è emerso che oltre il 90 per cento dei nostri dipendenti si riferisce a Insight come a una famiglia. E per me è fonte di grandissimo orgoglio pensare che siamo riusciti a far sì che Insight possa ancora essere percepita come una famiglia da 80 persone”.
La trasparenza e la cultura del feedback
Se Armonia è uno dei valori fondanti per Insight, secondo Federica Sessa altrettanto fondamentale è la trasparenza.
“Sulla trasparenza si gioca la comunicazione con il dipendente, sia top-down e bottom-up. Parlo di trasparenza nel comunicare decisioni e strategie aziendali, parlo dell’apertura costante del nostro management, della disponibilità a rispondere”.
In concreto questo si traduce non solo in informazioni costanti verso i dipendenti, ma anche nella possibilità di ricevere altrettanto costantemente feedback da loro, non solo in relazione agli obiettivi di business, ma anche sugli obiettivi personali.
Ascoltare i desideri di sviluppo personale e professionale
“Abbiamo sviluppato una vera e propria mappa aziendale, chiara e trasparente per tutti e per tutte le divisioni, che consente al dipendente di capire quali sono i ruoli che esistono all’interno dell’azienda, quali sono i requisiti per muoversi all’interno di un ruolo oppure di un altro. Cerchiamo costantemente di avere un confronto con le persone in relazione ai loro desideri di sviluppo professionale, sia in termini di ruolo, sia di competenze”.
Federica Sessa sottolinea come con sviluppo professionale non si intenda solo uno sviluppo gerarchico o “verticale”, ma anche uno sviluppo “trasversale” delle competenze.
“Offriamo possibilità costanti di formazione e di aggiornamento. Tutti i nostri dipendenti vi dedicano almeno un’ora a settimana, e se serve anche di più. Organizziamo continuamente opportunità formative sia sui prodotti e servizi, ma anche sulle soft skill”.
La terza parola chiave è responsabilizzazione.
“Crediamo che i dipendenti possano essere fautori del cambiamento in azienda. Non devono essere solo passivi spettatori di ciò che fa il management: la nostra cultura punta a responsabilizzare le persone. Ci aiutano a trovare risposte e soluzioni e noi promettiamo che le mettiamo in pratica”.
Non solo benchmark salariale: per il dipendente è importante il contesto
Ma quali sono gli aspetti che aiutano un’azienda a “trattenere” i propri dipendenti e collaboratori? Bastano i benefit?
“Premesso che, soprattutto in un mercato come il nostro, essere competitivi a livello di Benchmark salariale sia fondamentale, nel medio-lungo periodo diventa fondamentale il contesto in cui la persona si trova lavorare. E se il contesto è positivo, la retention funziona. È chiaro che ci sono sempre persone che se ne vanno, ma quando lo fanno ci esprimono il timore rispetto al nuovo ambiente di lavoro. Magari se ne vanno perché trovano l’opportunità dei loro sogni, ma temono di non riuscire a ritrovare un contesto come il nostro. Un contesto che in tanti definiscono raro, in un mercato così aggressivo, veloce e frenetico come quello in cui noi lavoriamo. Soprattutto ci riconoscono la capacità di fermarci e domandarci se stiamo agendo secondo i nostri valori. Se la risposta è affermativa, andiamo avanti. In qualche caso ci siamo fermati, anche a dispetto del business. Per noi è importante che le persone sappiano di lavorare in un contesto nel quale sono ascoltate e capite”.
Valori aziendali condivisi e premiati
La parola valori ricorre spesso nei discorsi di Federica Sessa, ma come vengono condivisi in azienda?
“In primo luogo, non ci limitiamo a dire che abbiamo dei valori ma premiamo chi li incarna. E non lo facciamo dall’alto”.
In Insight è stato creato un programma di valori aziendale, nel quale non è il manager che riconosce il comportamento dei dipendenti, ma sono i dipendenti stessi che “nominano” i loro colleghi che in determinate circostanze hanno reso concreti uno o più dei valori che l’azienda racconta di sé.
“Il riconoscimento arriva sia in termini economici, sia attraverso una celebrazione collettiva. Può sembrare semplice, ma è di una potenza pazzesca. Viviamo i nostri valori e premiamo chi lo fa, con un riconoscimento che parte dal basso”.
L’attenzione alla vita privata
Ogni anno, poi, Insight offre a tutti i propri dipendenti la possibilità di dedicare due giornate di volontariato, anche proponendo attività concrete da fare insieme.
“E poi siamo attenti alla vita privata dei nostri dipendenti. Ci sono tanti momenti delicati nella vita di ognuno di noi, cerchiamo di essere concretamente vicini negli eventi più importanti, sia in quelli celebrativi come un matrimonio o la nascita di un bambino, sia nei momenti più difficili”.
Come è accaduto allo scoppio della pandemia.
In un momento di paura e di smarrimento per tutti, la priorità è stata in primo luogo la sicurezza e la salute delle persone.
“Indipendentemente da qualsiasi richiesta da parte del Governo, abbiamo chiesto i nostri lavoratori di stare in Smart Working ancor prima dell’8 di marzo e poi ci siamo chiesti come rimanere in contatto e come far sì che le persone non si sentissero perse. Abbiamo utilizzato strumenti che già avevamo e creato canali nuovi, Abbiamo ricreato la nostra cucina, la nostra area break virtuale per fare in modo che le persone che avessero voglia di fare due chiacchiere potessero trovare qualcuno con cui farle, abbiamo creato, contest attività ludiche, abbiamo ampliato il concetto di orario di lavoro flessibile, tenendo conto ad esempio, della presenza dei bambini in casa o di familiari da dover accudire. Abbiamo introdotto massima flessibilità, per garantire alle nostre persone di poter gestire la nuova quotidianità, ma abbiamo cercato di mantenere un contatto costante con tutti, in modo che nessuno si sentisse isolato, ma in particolare con le persone che sapevamo essere sole a casa. Abbiamo cercato di dare sicurezza alle persone, non abbiamo interrotto le assunzioni, abbiamo convertito contratti in scadenza a tempo indeterminato, non abbiamo fatto cassa integrazione. Il messaggio che doveva passare era che la situazione era sì difficile, ma che per noi le persone restavano la nostra priorità”.
In questa fase, e ancor di più durante il secondo lockdown, Insight ha organizzato momenti di riflessione e di supporto sui temi dell’esposizione e della sovraesposizione digitale, del technostress, della gestione degli equilibri tra casa, famiglia e lavoro.
“Abbiamo fatto ricorso a una psicoterapeuta che ha incontrato i nostri colleghi per parlare di questi temi. Inoltre abbiamo offerto la possibilità di seguire corsi di yoga, di pilates, di fitness. Con il secondo lockdown abbiamo avuto la consapevolezza che la situazione non era eccezionale o straordinaria, ma di quanto fosse nostro dovere come impresa rendere questa normalità più piacevole e sopportabile”.
Dalla soddisfazione all’employer advocacy il passo non è breve
Ma dall’essere azienda attenta al benessere dei propri dipendenti al fare dei propri collaboratori degli Ambassador e dunque a farsi parte attiva di ciò che viene definito Employer Branding il passaggio non è automatico.
Su questo punto interviene Diego Nobili, Regional Marketing Manager della società: “L’employer advocacy deve necessariamente basarsi sull’evidenza di valori chiari e condivisi: questo è il magnetismo che si crea tra un’idea aziendale e una risposta che inevitabilmente è personale. Fortunatamente in Insight questo avviene. Per noi i valori fondamentali sono tre e uno solo è orientato Business, ma gli altri due sono più attinenti la sfera del personale”.
Tre valori, tutti con la stessa iniziale: H.
Il primo è Hunger, che significa avere ambizioni e aspirazioni nel business.
Il secondo Heart, che riguarda la parte più intima dell’essere umano. “E quindi vuol dire comportarsi secondo i propri valori”.
Il terzo, lo aveva già accennato Federica Sessa, si chiama Harmony. “E qui si entra nella sfera sociale delle persone. Harmony non ha a che fare con la tecnologia, ma con il vivere insieme in un contesto sociale”, spiega ancora Nobili. “La cosa interessante nella employer advocacy è il rendere chiari questi valori tenendo conto anche delle sensibilità individuali e della necessità di creare un equilibrio tra ciò che si vede e ciò che viene percepito”.
Per qualcuno è importante vedere il nome dell’azienda su un oggetto che usa frequentemente, per altri servono segnali diversi.
All’inizio della pandemia Insight ha attivato una polizza assicurativa per tutelare i propri dipendenti in casi di particolare gravità. “Fortunatamente non è stato necessario ricorrervi – spiega ancora Nobili -, ma ha fatto sentire i nostri dipendenti tutelati, però non è detto che queste siano le cose che le persone comunicano con maggiore facilità rispetto alla loro azienda. Per questo bisogna trovare un equilibrio tra la capacità di dare risposte giuste ai dipendenti e altre iniziative più esteriori come un oggetto o un regalo natalizio sicuramente apprezzato e più facile da comunicare verso l’esterno”.
Interpretare la pluralità
Great Place to Work è stata l’occasione per Insight, che vi ha partecipato per la prima volta, per scoprire, attraverso le survey condotte nel processo di valutazione, il pensiero dei propri dipendenti.
“Da quello che è emerso e che può essere utile se si vuole lavorare sull’employer branding è l’importanza di lavorare su più aree, perché non ce n’è un’unica ritenuta prioritaria da tutti. Succede che i più giovani siano soddisfatti di una serie di iniziative un po’ più sociali, altre più mature o più vincolate dal punto di vista familiare hanno apprezzato il fatto di avere policy o maggiore flessibilità. Faccio merito a questa azienda il fatto di aver saputo interpretare una pluralità di esigenze e di priorità”.
Per Insight, sottolinea questo punto lo stesso Piero Marrazzo, il feedback è un bene prezioso. “Siamo abituati in azienda a effettuare survey. Lo scorso anno, oltre all’indagine annuale ne abbiamo fatte due guidate da società esterne per valutare la nostra reazione nell’emergenza. L’indagine annuale, condotta in forma anonima ci permette di individuare aree di sofferenza e rispondere anche attraverso la creazione di gruppi di lavoro allargati: il dipendente è protagonista anche nell’aiutarci a migliorare il suo benessere”.