Senza il cloud è difficile pensare a una continuità di business concreta. Sia nei periodi di normale routine lavorativa, sia, soprattutto, nelle emergenze, come quella che stiamo vivendo, in cui le misure restrittive a livello sanitario impongono, volenti o nolenti, di lavorare da remoto. Investire in infrastrutture in cloud consente di impostare e gestire il business di molte aziende in maniera flessibile, dinamica ed efficiente, indipendentemente da dove i dipendenti si trovino. Lo sta sperimentando Si-Net, system integrator di Legnano, che si propone come case history vivente per portare la cultura del cloud e della collaboration da remoto ai propri clienti, prevalentemente PMI e professionisti.
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Il cloud predispone a una cultura del lavoro flessibile
«L’emergenza che ci costringe a lavorare da remoto certo comporta grandi preoccupazioni per il mercato in generale, ma non ci coglie impreparati – commenta Fausto Turco, CEO e socio fondatore di Si-Net -. In Si-Net già da anni siamo predisposti a forme di smart working, forti dall’avere l’intera infrastruttura basata in cloud e ci siamo quindi trovati in maniera naturale a continuare la nostra attività anche da remoto».
Lo smart working, insomma, è facile abilitarlo, ma certo non si improvvisa. Non basta, infatti, accendere il notebook di casa, senza le adeguate policy di sicurezza e affidandosi unicamente a delle VPN associate al tradizionale server aziendale. Va bene l’emergenza, ma se le aziende si fossero predisposte, anche culturalmente, a consentire e a gestire il lavoro anche da remoto, molte di loro avrebbero potuto continuare gran parte delle loro attività. Anche da casa.
Lo smart working e i suoi strumenti cambiano le regole relazionali
Certo, impostare il business da remoto significa considerare un vero e proprio cambiamento, anche nella gestione delle relazioni con il cliente. Che non è detto saranno peggiori di prima.
«Nessuno era preparato all’emergenza, ma la predisposizione al cloud e l’esserci strutturati per lo smart working ci consente di impostare delle forme di relazione nuove con i clienti, che probabilmente avranno il loro valore anche nel post-emergenza – riprende Turco -. Al di là degli incontri di persona, prima molto dell’help desk veniva gestito telefonicamente. Mentre oggi ci stiamo abituando tutti a una interazione anche visiva, con le videochat, il che consente di relazionarsi in maniera più empatica anche da remoto, dando un valore maggiore alla relazione». Nuove abitudini di comunicazione e collaborazione che avranno un impatto che probabilmente resterà anche finita l’emergenza, e che potrebbero addirittura disintermediare, a volte, la telefonia, con possibili impatti anche sulle infrastrutture, consentendo esperienze di comunicazione più soddisfacenti e più complete che in passato.
Lo Smart working è un fatto di cultura e di fiducia
«Dobbiamo pensare non tanto a come tornare a fare quello che abbiamo sempre fatto, ma, piuttosto, a “come” faremo quello che abbiamo sempre fatto. Perché sarà un’esperienza del tutto diversa» avvisa Turco, che continua: «Anche perché la comunicazione e la collaboration da remoto non è tanto questione di tecnologia, che già esisteva. Lo smart working è, piuttosto, questione culturale e di fiducia nel proprio team».
Fiducia e cultura aziendale. Il che significa abbandonare la logica del tutto on premise, con macchine solo in ufficio e nessuna dotazione di laptop con possibilità di connessione sicura.
Ci vogliono gli strumenti adeguati, e investire. Ma prima, e a prescindere dall’emergenza. Senza gli strumenti adatti la resa è inferiore, e l’abilitazione per qualsiasi attività è quindi possibile solo se prima sono stati fatti degli investimenti.
PMI e professionisti: target difficili per l’innovazione
Ma spesso ci si scontra con una scarsa cultura dell’innovazione. Soprattutto quando si ha a che fare con le PMI e, ancora di più, con i professionisti.
«Categorie che non hanno dovuto o voluto investire negli scorsi anni, e oggi si trovano in difficoltà – afferma Turco -. Un insegnamento da questa esperienza emergenziale ci sarà solo se si abiliterà qualcosa che poi rimane a sistema, utile per il business futuro».
Tra le prime cose da fare indicate da Turco, c’è pensare al cloud e, in secondo luogo, alla sicurezza. Ma è necessario e urgente investire in tal senso. E fa l’esempio di aziende che, nella fase di ripresa dall’emergenza, dovranno dimezzare la presenza di personale presente allo stesso tempo in ufficio, con turnazioni o altri mezzi, per il perdurare delle condizioni di sicurezza sanitaria. Se non si abilita chi sta a casa, il business sarà dimezzato e se si pensa che la tecnologia sia utile solo per uscire dall’emergenza, non si va da nessuna parte.
Imparare dall’emergenza per impostare le strategie di domani
«Perché sulla tecnologia vanno impostate le strategie di business di domani, ma già dovevano e potevano essere fatte ieri – insiste -. E questo può e deve diventare un modello anche per noi stessi. Io ai miei collaboratori ho detto che questa emergenza deve essere occasione di sviluppare delle competenze tali che alla ripresa dovremo essere tutti in grado di lavorare ogni giorno dalle Maldive!. Se riusciamo noi stessi a metterlo a sistema, saremo noi stessi automaticamente ad educare i clienti, senza neanche doverglielo suggerire. Saranno loro a chiedercelo come facciamo e vorranno adottare lo stesso sistema. Dobbiamo iniziare noi stessi a dare un esempio, creando cultura».
Un brindisi… ma a distanza di sicurezza
E su questo paradigma del business a distanza, le potenzialità sono enormi e ci si può sbizzarrire con le idee. Si-Net in tal senso si è mossa, per esempio, con un progetto di Digital Wine Taste, una degustazione di vini da remoto, collegando una prestigiosa cantina di Brunello dove un enologo e il produttore potevano interagire da remoto con una platea di persone per una degustazione guidata di vini, stesse bottiglie, stessi profumi ma da remoto. Un’esperienza che ora Si-Net intende estendere anche ad altri settori, come il food.