Il sorprendente risultato delle elezioni presidenziali americane, che hanno incoronato Donald Trump come nuovo capo della Casa Bianca, lasciano sicuramente un paio di sconfitti sul campo: innanzitutto Hillary Clinton, candidato democratico, ma anche la nutrita schiera di sondaggisti e analisti, che non sono riusciti a prevedere la vittoria del candidato repubblicano. Basti pensare all’errore compiuto da Nathaniel Read “Nate” Silver, uno dei Data Scientist più famosi del globo, creatore e principale autore del blog FiveThirtyEight, che analizza dal punto di vista statistico eventi di cronaca, sportivi e soprattutto politici. La sua notorietà era cresciuta a dismisura nel 2008 quando, in sede di elezioni, riuscì a prevedere correttamente i voti di 49 dei 50 stati della nazione. Quattro anni più tardi, allo stesso modo, le sue predizioni furono corrette in ogni stato dell’Unione, facendolo così diventare una specie di “Oracolo delle elezioni”. Meno di 24 ore fa, alle 17 dell’8 novembre, il modello elaborato da Silver prediceva che la Clinton avesse il 71,6% di probabilità di vittoria. Una predizione che è poi stata clamorosamente smentita dai risultati reali.
Dobbiamo allora perdere fiducia nei Big Data? Come racconta a Digital4Trade Paolo Pellegrini, Senior Advisor e Responsabile dell’area Data-Driven Innovation presso P4I – Partners4Innovation, la Data Science non è una scienza esatta e, sicuramente, non lo è in un contesto volatile come quello delle elezioni. «La verità è che quando si parla di Big Data, che vengono utilizzati anche in ambito aziendale, si parla sempre di probabilità e in questo caso il margine era abbastanza ristretto. All’interno dei singoli stati c’era stata una forte variabilità, anche questa di Silver è stata una predizione che però alla fine non si è rilevata così corretta. Lui ha predetto la preferenza popolare, che probabilmente è anche reale, però c’è un delta su quanti poi sono andati realmente a votare».
Probabilmente nei prossimi giorni si aprirà il dibattito su cosa non abbia funzionato nell’elaborazione di questi modelli. La vera questione è se, però, questa debacle dei Big Data in politica possa frenarne l’adozione in azienda: «Di riflesso si potrebbe pensare questo, bisogna però considerare che ci muoviamo sempre in un contesto probabilistico. Anche in azienda si fanno sempre dei modelli di questo tipo, ad esempio quante probabilità ci sono che un cliente mi abbandoni o meno, non c’è mai un’indicazione secca. In azienda i Big Data possono arrivare sino a una certa capacità predittiva, poi entra sempre in gioco l’intelligenza del management», conclude Pellegrini.