Strategie

La formazione come motore per la transizione digitale e green delle PMI



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Dal progetto di ricerca condotto dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano emerge una discrepanza tra la dichiarata importanza della formazione e la sua effettiva implementazione. Occorre coinvolgere dirigenti e quadri per trasmettere gli orientamenti strategici verso l’innovazione. Le PMI devono superare le difficoltà di accesso e rendicontazione per sfruttare appieno i benefici…

Pubblicato il 10 dic 2024



Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI
Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI

La formazione costituisce una leva strategica che le PMI italiane dovrebbero attivare con maggiore intensità e qualità, per essere in grado di affrontare le sfide attuali e future. Almeno il 60% delle piccole e medie imprese ritiene prioritaria la formazione, sia per la transizione digitale che per quella green, poiché consente di sviluppare capacità di relazione e di lavoro in gruppo, l’attitudine all’imprenditorialità, la creatività e la capacità innovativa.

Una analisi per migliorare competitività e innovazione

Il progetto di ricerca dedicato alla formazione nelle piccole e medie imprese italiane all’interno dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano e presentato durante il convegno “La formazione nelle PMI italiane: percorsi, strumenti e sfide”, è frutto di un lavoro collegiale che si è posto l’obiettivo di individuare ciò che funziona e ciò che si può migliorare, soprattutto in termini di formazione finanziata. “Quest’ultima è un’importante leva per il mondo delle PMI, che devono riuscire a bilanciare il tempo lavorativo con quello dedicato alla formazione” spiega Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio.

Rorato sottolinea che dai risultati della ricerca, condotta su un campione di oltre 500 piccole e medie imprese, statisticamente rappresentativo della popolazione di PMI italiane, emergono due temi chiave su cui l’ecosistema deve lavorare per aumentare la sensibilità delle imprese. Anzitutto, “la messa a punto di nuovi paradigmi per rendere centrale la formazione nei processi di up-skilling e di re-skilling, per migliorare la competitività delle imprese e per evitare problemi di natura sociale”. In secondo luogo, occorre aumentare la formazione dedicata alle figure apicali e ai quadri, cruciali nel processo di trasmissione degli orientamenti strategici verso l’innovazione. Oggi infatti – osserva Rorato – la formazione obbedisce più a esigenze legate alla quotidianità, rendendola più simile all’addestramento”.

Formazione nelle PMI: il gap tra pensiero e azione

Metà delle piccole e medie imprese italiane (51%) dichiara che la formazione è parte integrante della strategia, mentre per il 31% è ritenuta importante ma non rientra tra le attività strategiche. Il restante 18% afferma che la formazione non è prioritaria oppure che è usata solamente per la parte obbligatoria. La valutazione delle competenze e l’individuazione delle necessità formative a livello previsionale interessano rispettivamente il 15% e l’11% delle PMI.

Confrontando la strategicità attribuita alla formazione e la valutazione delle competenze presenti e future per definire i piani formativi, emerge il sospetto che nelle PMI esista una differenza tra il pensiero e l’azione, tra teoria e pratica. E ciò è avvalorato dal fatto che il 37% del campione non dispone di una programmazione delle attività formative e che il 19% le programmi ogni due o tre anni.

Per migliorare le competenze interne, il 30% delle PMI non si avvale di formazione formale (corsi interni o esterni o altre attività strutturate come job rotation, partecipazione a webinar, fiere, eventi), ma esclusivamente di formazione informale, favorendo l’affiancamento a figure più esperte e la condivisione di esperienze tra il personale aziendale (14%), oppure ricorrono a formazione obbligatoria (16%). Il restante 70% utilizza un mix tra formazione formale e informale. Il 40% delle PMI che ricorrono solamente alla formazione obbligatoria o a quella informale ritiene problematico svolgere l’attività formativa durante l’orario di lavoro, mentre il 32% lamenta la mancanza di una struttura interna dedicata alla formazione.

Skills, digitalizzazione e sostenibilità guidano le attività di formazione formale

Il 64% delle PMI che svolge attività formali ritiene che la formazione migliori la competitività dell’impresa o aiuti a trattenere i talenti (42%). Negli ultimi due anni è prevalente la formazione su hard e soft skills (73%, concentrata su capacità relazionale e di gruppo, normative, tecnologie digitali, attività manuali), seguita da quella dedicata alla digitalizzazione (61%, concentrata sull’addestramento all’uso di tecnologie, conoscenza delle nuove tecnologie, implicazioni normative sull’uso delle tecnologie) e alla transizione green (39%, concentrata sulle pratiche di riciclo/economia circolare, sensibilizzazione alla sostenibilità, uso di tecnologie per il risparmio energetico).

Gli impiegati e gli operai sono le figure più coinvolte in attività formative (69%). Oltre la metà delle PMI che svolgono attività formative formali non coinvolge Dirigenti o Quadri in attività formative (53%), dato che sorprende considerando che si tratta di una figura cruciale nelle imprese perché cerniera tra leadership strategica e gestione operativa. Alla stessa stregua, anche i neoassunti nel 64% dei casi non usufruiscono di formazione formale, limitando gli interventi soprattutto agli affiancamenti. Emerge dunque la necessità di sviluppare percorsi strutturati per i giovani e i neoassunti, rendendo più attrattive le PMI agli occhi dei lavoratori in cerca di occupazione.

La formazione finanziata volano per lo sviluppo della competitività delle PMI

La maggior parte delle PMI che ha svolto attività formative formali ha fatto ricorso a formazione finanziata (78%), attraverso crediti di imposta (39%), fondi paritetici interprofessionali (33%) e bandi camerali (22%). I tassi di utilizzo inferiori al 50% segnalano che le fonti di finanziamento per la formazione sono ancora poco conosciute e che gli enti che le promuovono devono migliorare in questa direzione.

La complessità per il monitoraggio e la rendicontazione sono la principale criticità per l’accesso alla formazione finanziata (27%), seguite dall’esiguità dei fondi messi a disposizione (23%) e dalla complessità nelle fasi iniziali di preparazione della documentazione e candidatura (23%).

Sono gli impiegati (90%) i principali fruitori della formazione finanziata, seguiti dagli operai (57%), dai quadri (48%), dai neoassunti (33%) e dai dirigenti (24%). Solo il 17% delle PMI monitora regolarmente le competenze per valutare l’efficacia della formazione finanziata. A ciò si aggiunge la mancanza di una chiara indicazione sugli impatti della formazione finanziata, che denota una consapevolezza ancora scarsa sul tema e una generale difficoltà a considerare la formazione come un elemento strategico.

La formazione finanziata può essere un volano per lo sviluppo della competitività delle PMI, perché supporta la crescita della conoscenza a basso costo ma necessita di adeguamenti almeno nelle fasi di accesso e di progettazione dei contenuti, per coinvolgere maggiormente le fasce apicali, quelle in ingresso e quelle intermedie che fungono da collegamento tra leadership strategica e gestione operativa” conclude Claudio Rorato.

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