#Elezioni 2018

VEM Sistemi: un’Industria 4.0 per il terziario, perché no?

Manca meno di un mese alle elezioni politiche del 4 marzo. Stefano Bossi, Ceo di VEM Sistemi, chiede al futuro Governo di preservare e migliorare le iniziative sul digitale avanzate in questi anni. E di insistere sulla formazione delle nuove generazioni

Pubblicato il 12 Feb 2018

Gianluigi Torchiani

VEM Sistemi
Stefano Bossi, Ceo di VEM Sistemi
Stefano Bossi, Ceo di VEM Sistemi

Manca meno di un mese alle elezioni politiche del 4 marzo. Una scadenza importante anche per i riflessi che la politica, inevitabilmente, ha sul mondo dell’economia e delle imprese (su Twitter, con l’hashtag #innovationfirst è possibile leggere tutti gli articoli realizzati sul tema da Digital360). Comprese quelle impegnate quotidianamente nella trasformazione digitale: una di queste è senza dubbio VEM Sistemi, system integrator emiliano romagnolo attivo da oltre trent’anni nelle svariate declinazioni dell’ICT e che ora sta operando anche in nuovi campi come l’Internet of Things. Il CEO Stefano Bossi, ormai da diversi anni alla guida del gruppo, ha ben chiaro cosa potrebbe fare il futuro Governo nazionale per aiutare la diffusione della digitalizzazione nel Sistema Paese. A partire da un cambio di rotta nella Pubblica Amministrazione: «Può sembrare paradossale partire da questo punto, ma è innegabile che in Italia ci sia un effetto indotto della PA sulla vita delle imprese, non fosse altro che siamo costretti a rapportarci con il settore pubblico. E la lentezza della PA sul fronte del digitale può tradursi per le aziende in una perdita di tempo, denaro e opportunità. La prima cosa da fare sarebbe quella di dare continuità attuativa al Piano informatico triennale della PA, che ancora non è stato completamente realizzato. Si tratta ovviamente di una condizione necessaria ma non sufficiente. Il rischio altrimenti è quello di una spaccatura privato-pubblico: sono convinto che, per accelerare, sia necessario che PA e privati viaggino nella stessa direzione».

Il peso della formazione delle giovani generazioni

Pubblica amministrazione a parte, la tesi di Bossi è che la ricetta per l’innovazione in Italia debba prevedere diversi ingredienti. Partendo dal presupposto che, al di là del pensiero politico individuale, con Agenda Digitale e altre iniziative lanciate negli ultimi anni, è perlomeno stato creato un afflato di attenzione rispetto a queste tematiche, che andrebbe valorizzato ulteriormente dal prossimo Esecutivo. Concretamente, poi, ci sono tutta una serie di cose che si possono fare per catalizzare l’innovazione, a partire dal coinvolgimento dei più giovani. «Per me l’innovazione non può che presupporre la contaminazione da parte delle nuove generazioni. La domanda è ovviamente: come fare? La base da cui partire è il rapporto Assinform, che per il triennio 2017-19 parla di una domanda 85.000 professionisti Ict che in buona parte potrebbe non essere coperta. Dunque c’è una domanda che supera l’offerta, un dato che fa capire quanto sia importante favorire la crescita digitale delle nuove generazioni. Come? A mio avviso ci sono degli strumenti che vanno potenziati e spinti maggiormente. Qui in Emilia-Romagna abbiamo avuto delle esperienze positive con gli ITS sull’Ict, che sono di fatto un post diploma che ci può mettere nelle condizioni di coprire la domanda degli specialisti e architetti dell’ICT. Sono quindi convinto che dobbiamo aumentare molto il numero dei ragazzi che frequentano questi tipi di corsi. Anche se è chiaro che quello della formazione non è un problema che possa trovare soluzione nell’immediato, da qualche parte bisogna pur iniziare, altrimenti il fenomeno rischia di rimanere endemico».

Il modello Industria 4.0

Oltre alla formazione, è evidente che la politica può giocare un ruolo chiave nell’innovazione digitale e nella competitività delle imprese attraverso il varo di appositi strumenti: «Il piano Industria 4.0 ha permesso di aumentare la competitività delle imprese industriali. Per noi aziende della filiera ICT, ciò determina una competitività indotta, poiché costituisce un acceleratore potenziale per i nostri ricavi. È senz’altro anche un esempio di integrazione, perché costringe le aziende dell’ICT come la nostra a parlare il linguaggio delle “line of business”, costringendoci a lavorare in ottica di consulenza digitale, ossia un qualcosa che il mondo della system integration tipicamente non era abituato a fare. Credo dunque che il Piano Industria 4.0 andrebbe senz’altro mantenuto e potenziato. In teoria l’iper ammortamento dovrebbe terminare nel 2018, spero che sia prorogato, così come altri strumenti similari come il credito di imposta per le start up e la Legge Sabatini. Naturalmente si può discutere sulle percentuali, inferiori o superiori, non sta certo a noi dirlo, tutto è sempre migliorabile».

Un Terziario 4.0?

A proposito di Industria 4.0 e del suo successo, Bossi si lancia anche in una piccola provocazione intellettuale: «Se ce lo potessimo permettere da un punto di vista dei conti pubblici, perché non possiamo pensare di affiancare altri programmi a Industria 4.0? E’ vero che l’Italia ha un cuore manifatturiero, ed è stato quindi giusto partire da qui, ma perché non lanciare Agri 4.0 e Terziario 4.0? Oggi un’azienda che fa, per esempio, turismo o viticoltura, non può beneficiare dei vantaggi di Industria 4.0., anche se ha la volontà di cambiare la propria organizzazione investendo nel digitale. Noi stessi, come VEM sistemi, non avendo linee di produzione, abbiamo potuto accedere soltanto al super ammortamento e non all’iper ammortamento. È un po’ una provocazione, ma è doveroso ricordare che accanto all’industria esistono altri due macro settori produttivi».

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