Stefano Cecconi, amministratore delegato di Aruba
Non è arrivata la vittoria, ma la doppia gara del circuito Superbike di Misano si è chiusa positivamente per il Team Ducati Aruba, che ha portato a casa un secondo e un terzo posto. Un appuntamento molto sentito dall’amministratore delegato di Aruba, Stefano Cecconi, che ha approfittato dell’occasione per ribadire la volontà di continuare a investire nel motociclismo e delineare la strategia di business del gruppo. «I ritorni del nostro investimento nella Superbike continuano a essere molto buoni e sono anche in crescita, dal momento che il progetto va avanti ormai dal 2015. C’è da sottolineare che le corse sono per noi un evento sportivo ma anche un’ottima occasione per fare business, in particolare quando si tratta di clienti prospect, che hanno partecipato in massa alla tre giorni di Misano. Iniziative di questo tipo permettono di rompere il ghiaccio e, dal nostro punto di vista, funzionano molto bene. Siamo poi molto soddisfatti dell’esposizione televisiva e mediatica della Superbike, che ripaga abbondantemente l’investimento che stiamo effettuando. Chiaramente offriamo il nostro contributo al team Ducati sulla parte informatica, senza però nessun tipo di forzatura».
Indice degli argomenti
Fatturazione elettronica nel mirino
Dietro questa operazione sportiva e di marketing c’è il lavoro quotidiano di Aruba, che continua da una parte a investire nell’innovazione dei prodotti esistenti e dall’altra cerca di espandere il suo portafoglio. In questo secondo fronte, ad esempio ci sono gli investimenti nello sviluppo delle soluzioni Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale), che secondo Cecconi potrebbe diventare presto un servizio con numeri enormi, se la Pubblica amministrazione si attrezzerà in tal senso. Un mercato che invece è già esploso tra le mani di Aruba è quello della fatturazione elettronica b2b: «Con l’obbligo di legge il mercato si crea automaticamente, ovviamente poi ci ritroviamo a competere in questa arena con altri concorrenti. La fatturazione si combina con un altro servizio che già offrivamo, quello della conservazione, tanto che alcuni nostri clienti già utilizzano entrambi contemporaneamente».
Data Center: una domanda oltre le aspettative
Sopra l’intera strategia di business di Aruba stanno poi i corposi investimenti annunciati nell’area Data Center: ai tradizionali centri di elaborazione dati presenti nella zona di Arezzo si è affiancato quello di Ponte San Pietro (Bergamo), mentre nelle scorse settimane è stato annunciato quello di Roma: «Abbiamo inaugurato il primo edificio del Data center di Ponte San Pietro lo scorso ottobre, ci eravamo prefigurati che sarebbero serviti dai 3 ai 5 anni per riempirlo, la realtà dei fatti è che sostanzialmente possiamo considerarlo già pieno. Le sale devono essere ancora fisicamente riempite dai server per una questione di tempi tecnici, ma tutti gli spazi disponibili sono stati venduti ai clienti. In buona parte sono destinate alla classica colocation e il resto come cloud privato, più o meno dedicato. Visto il ritmo di crescita, abbiamo deciso l’espansione di Ponte San Pietro, dove saranno realizzati altri edifici, in grande anticipo rispetto ai tempi previsti. Per quanto riguarda Roma, invece, siamo stati fortunati, perché non è stato facile individuare il posto adatto. Abbiamo invece trovato il luogo ideale, assolutamente compatibile con il Data center, idrogeologicamente perfetto, con la giusta connettività e con l’area sufficientemente grande per i nostri scopi (77.000 metri quadri). Dovremmo procedere rapidamente alla realizzazione perché, da quando abbiamo annunciato il progetto, siamo stati subissati di richieste, anche perché l’area di Roma risulta molto più carente di infrastrutture di questo tipo rispetto a Milano».
Il contributo del canale
Ma esiste la possibilità che il canale possa giocare un ruolo in questa partita? La risposta di Cecconi è chiara: «Per quanto riguarda i nostri Data Center il reclutamento dei clienti avviene attraverso la nostra rete commerciale diretta. Non abbiamo dei partner che fungono da rivenditori, ossia che stanno in mezzo tra noi e i clienti finali, sarebbe un livello in più che probabilmente non porterebbe reale vantaggio diretto al cliente finale. Piuttosto abbiamo dei system integrator che possono avere a che fare con delle esigenze supplementari da parte dei propri clienti (business continuity, disaster recovery, ecc) e che, dunque, possono appoggiarsi ai nostri Data Center da un punto di vista infrastrutturale».
Il ruolo della Digital Transformation
La ragione che spinge un player come Aruba a effettuare investimenti così importanti in un Paese come l’Italia, che negli passati era stato dipinto come inadatto a ospitare Data Center di queste dimensioni (soprattutto a causa degli elevati prezzi dell’energia) ha molto a che fare con la Digital Transformation: «Rispetto al passato, da un certo punto di vista, non è cambiato nulla. Dovendo pensare di costruire un Data Center in Europa, l’Italia non sarebbe sicuramente la prima scelta, perché l’energia elettrica resta la più costosa del Vecchio Continente. Qualcos’altro, però, è cambiato: non è più possibile pensare, nell’era dell’Internet of Things e dell’esplosione del volume di dati, di utilizzare dei Data Center troppo lontani dall’utilizzatore finale. Soprattutto per un problema di latenza, non si possono servire tutti i propri utenti con un unico Data center, magari collocato in America. Dunque tutte le aziende che vogliono investire in Italia non possono farlo appoggiandosi a infrastrutture presenti all’estero. Questo spiega perché si stanno sviluppando nuovi Data center in tutti i Paesi, Italia compresa. Via via che aumenterà il volume dei dati, si dovranno realizzare dei data center su scala regionale, che però non potranno essere troppo piccoli per non limitare le economie di scala», conclude Cecconi.