Criptovalute

Bitcoin: tutto quello che c’è da sapere su fluttuazioni e trading

Roberto Garavaglia, Management Consultant & Innovative Payments Strategy Advisor, racconta a Digital4Trade tutti i segreti della criptovaluta più celebre al mondo. Spiegando le prospettive della regolamentazione e i perchè delle ultime fluttuazioni

Pubblicato il 13 Nov 2017

Gianluigi Torchiani

Bitcoin 2

Mai come in questo periodo si è parlato tanto di Bitcoin, complici anche le grandi fluttuazioni che hanno interessato la criptovaluta e il suo utilizzo come valuta preferita da parte del cybercrime. Ma quali i meccanismi che stanno favorendo a livello globale dei Bitcoin? Digital4Trade ne ha parlato con Roberto Garavaglia, Management Consultant & Innovative Payments Strategy Advisor.

Perchè Bitcoin, prima di tutti

Perché il Bitcoin si è affermato come regina della criptovalute a livello globale? Quali sono le ragioni che ne hanno decretato il successo?

Storicamente il Bitcoin è uno dei primissimi esempi concreti di criptovaluta, nata sulla scorta di alcune visionarie riflessioni di Satoshi Nakamoto (pseudonimo di uno – o forse più – individui cui si riconduce la paternità putativa della valuta digitale) che nel 2008 pubblica un white paper, spiegando la propria idea di moneta virtuale peer-to-peer e risolvendo il problema del c.d. “double-spending”.
Nakamoto progetta Bitcoin e ne sviluppa la prima implementazione, ideando un sistema di validazioni a blocchi che usa la crittografia e un servizio di marcatura temporale, chiamato “Blockchain”. L’uso di tale tecnologia abilita persone diverse, fra di loro sconosciute, a verificare il succedersi di transazioni in Bitcoin registrate su un libro mastro distribuito (“Distributed Ledger”). Il distributed ledger viene acceduto dai partecipanti che operano sulla rete (tramite dei “nodi”) mettendo a disposizione risorse di calcolo, mediante cui si ottempera alla validazione delle transazioni, evitando, così, il ricorso ad un intermediario terzo (tali partecipanti assumo il ruolo di “Validatori”). Durante questo processo vengono “coniate” nuove unità di criptovaluta come sistema di remunerazione che ripaga – almeno in parte – il costo sostenuto dai “Validatori” (risorse di calcolo, energetiche, ecc.) che per questo motivo vengono altresì chiamati “Miners”. Il modello d’incentivazione assicura che questi ultimi vengano remunerati per il loro lavoro di approvazione, solo laddove il compito sia stato svolto correttamente (verificato dagli altri nodi), rendendo antieconomico qualsiasi tentativo di alterazione surrettizia dei blocchi precedentemente validati.
Tracciabilità (da tutti i partecipanti alla rete), immutabilità, sicurezza e incentivazione, sono quindi le caratteristiche principali che connotano la blockchain dei Bitcoin, attributi che hanno rappresentato (e rappresentano tuttora) un valore alla base della grande diffusione di questa criptovaluta.

Roberto Garavaglia, Management Consultant & Innovative Payments Strategy Advisor.

Bitcoin chi li usa… oltre agli hacker

Oltre a essere particolarmente apprezzato da hacker e cybercriminali, quali sono le altre categorie che preferiscono operare con i Bitcoin?

Qualsiasi nuova tecnologia, frutto di straordinaria intuizione o conseguenza accidentale di un evento imprevisto, porta inevitabilmente l’uomo a svilupparne un impiego che sia (o perlomeno che gli appaia) il più consono per i propri scopi. Denunciando l’impiego criminale dei Bitcoin, come è giusto e corretto fare, occorre altresì riconoscere quali opportunità possano rinvenire nell’uso “sano” di una criptovaluta. Discriminare i Bitcoin senza discernere l’uso proprio o improprio è un errore molto frequente, ma, se si fosse applicato in modo così intransigente e monodirezionale il medesimo pensiero anche per altre innovazioni che la storia, sin dai tempi più antichi, ci ha proposto, probabilmente oggi non avremmo la capacità di plasmare il mondo che ci circonda, grazie all’impiego del più semplice degli utensili. Ciò premesso, anche per l’uso delle criptovalute possono esservi dei benefici particolarmente apprezzati da categorie non criminali né criminalizzabili.

Rapidità nel settlement delle transazioni, soprattutto se confrontate con i tempi delle stanze di compensazione tradizionali, in particolare per i pagamenti intercontinentali e per quelli di importi non irrilevanti, ad esempio, rendono possibili alcune riflessioni anche presso le Banche Centrali, laddove si ipotizza la gestione (in capo alle medesime) delle cosiddette CBCC (Central Bank Criptocurrencies). Gli Stati potrebbero guardare con attenzione alla nuova forma di “creazione monetaria” realizzabile con l’impiego, ovviamente regolamentato, della Blockchain, per alcuni considerata la quarta fase della propria evoluzione, dopo quella convenzionale e scritturale.
Su tutt’altro fronte, e grazie proprio a quelle caratteristiche di immutabilità e tracciabilità che ricordavo poc’anzi, tipiche della tecnologia Blockchain, penso che il mondo delle donazioni possa trarre un grande vantaggio.

Bitcoin per una maggiore tracciabilità del denaro

Faccio alcuni esempi: la terza Indagine Indici di Efficienza Economica per gli anni 2012 – 2013 – 2014 effettuata dall’Istituto Italiano Donazioni, evidenzia che, in media, vengono spesi 21 centesimi per raccogliere 1 Euro. Gli oneri di struttura pesano per il 13,2% sul raccolto (aggiornamento bilanci 2015). Ora, si capisce facilmente come l’impiego di un’infrastruttura basata sull’efficientamento dei processi, quale è la Blockchain, possa essere di grande ausilio in quest’ambito. Inoltre, sfruttando la capacità intrinseca di una criptovaluta di essere “programmabile” (grazie all’impiego dei cosiddetti Smart Contracts) è possibile legare l’effettiva fruizione della valuta stessa e le sue successive operazioni – ad esempio la conversione in controvalore fiat – al rispetto di regole scritte nel codice stesso della criptomoneta, validate dalla comunità di miners. Ciò permetterebbe di realizzare quel controllo sulla effettiva raggiungibilità degli scopi (benefici) e dei destinatari (effettivi) che la donazione si prefigge, allontanando il rischio di adulterazione, sempre potenzialmente latente quando il controllo è esercitato da pochi e senza quella trasparenza che la tracciabilità sulla Blockchain può indubbiamente conferire alla transazione.

E’ possibile migliorare le prestazioni dei Bitcoin?

Le prestazioni dei bitcoin non sono all’altezza dell’utilizzo – comune – che ne fanno gli utenti, costretti ad aspettare tempi decisamente lunghi per vedere le proprie transazioni confermate, oppure a vedersi aumentare le commissioni per dare la precedenza alle proprie transazioni. L’enorme successo che ha avuto la criptomoneta ha evidenziato un problema di efficienza tipico del protocollo blockchain e la rete si è saturata.
Nella ricerca di una soluzione a tale problema, si è aperto un acceso dibattito (che, in alcuni casi, ha avuto le caratteristiche dello scontro) tra i maggiori attori della community Bitcoin. Da un lato, buona parte dei miners sono favorevoli a un accrescimento dell’efficienza della rete senza alcun intervento sulle commissioni, mediante un aumento della dimensione dei blocchi; in questo modo però, il rischio di accentramento della catena di controllo della rete, rimarrebbe ad appannaggio di pochi attori che posseggono elevate capaciti computazionali. Dall’altro lato gli utilizzatori vorrebbero introdurre in Bitcoin una nuova feature, in grado di aumentare la velocità e diminuire le commissioni, senza modificare la dimensione dei blocchi di transazioni.

Poiché la governance dei Bitcoin è basata su un modello condiviso, non esistendo un unico decisore centralizzato in grado di determinare risoluzioni, quando si vogliono cambiare le regole è necessario che la rete stessa sia d’accordo. Era quindi stato proposto un compromesso, che avrebbe previsto – in una prima fase – di veicolare più transazioni in un blocco e, in un momento successivo, anche di raddoppiare la dimensione dei medesimi. Questa proposta, che sembrava aver incontrato il favore di ambedue le parti (utilizzatori e miners), si è scontrata pochi giorni prima dell’attivazione con un gruppo di utenti che ha deciso di realizzare quella che molti giornali hanno chiamato una “secessione” dei Bitcoin, dando origine ad una nuova criptomoneta chiamata Bitcoin Cash, in cui i blocchi possono raggiungere dimensioni addirittura 8 volte maggiori rispetto a Bitcoin.
Prescindendo dall’analisi tecnica di ciò che con Bitcoin Cash si è realizzato, l’episodio (peraltro comune anche in altre altcoin, succedanee dei Bitcoin) ha messo in evidenza come grazie a (o per causa di) una governance condivisa, i dibattiti interni alla comunità finalizzati a rendere il Bitcoin un mezzo di scambio più efficiente – e, dunque, in prospettiva a determinare un incremento del Fair Value legato al valore come mezzo di scambio – abbiano potuto produrre – anche – fluttuazioni sul valore di mercato della criptovaluta.

Perchè la Cina blocca i Bitcoin?

Perché alcuni Paesi, tra cui la Cina hanno recentemente imposto lo stop alla criptovaluta?

Il caso della Cina è piuttosto chiaro e mi permette di avanzare un’ulteriore riflessione sull’attuale mancanza di una regolamentazione per le criptovalute, in particolare per quelle basate su blockchain pubbliche.
Agli inizi di settembre il Governo cinese ha messo al bando le ICO (Initial Coin Offering), un mezzo che molte startup pensano di poter usare per finanziarsi, ricompensando gli investitori con “tokens” cui corrispondono unità di nuove monete digitali, garantite da un sistema blockchain. In sostanza, un mezzo totalmente non regolamentato (per ora) tramite il quale è possibile fare una specie di crowdfunding ma che, proprio in quanto privo di una norma che ne regola la condotta (le cc.dd. “conduct of business rules”), propone ed espone rischi altissimi per i finanziatori.
Per darle un’idea del fenomeno, a luglio di quest’anno le aziende attive nel mondo delle criptovalute hanno raccolto 1,27 miliardi di dollari e le ICO hanno generato il 600% di quanto raccolto durante tutto il 2016, ossia circa 220 milioni di dollari.
L’assenza di regole e di un’autorità che vigili sul rispetto delle stesse (le ICO sono fuori dal raggio di una Consob, per intendersi) ha preoccupato molto Pechino che, temendo il rischio di vedere trasformati gli investimenti in valuta virtuale in frodi massive, è intervenuto “a gamba tesa” per evitare danni che avrebbero potuto essere di portata difficilmente contenibile.

Bitcoin, quali regole

In Europa qualcuno inizia a parlare della possibilità di regolamentare la criptovaluta…Si tratta di qualcosa di tecnicamente possibile? Se sì in che termini?

Molti sono gli stati (non solo europei) che stanno cercando di affrontare il problema sotto il profilo della regolamentazione. A mio avviso credo sia un compito possibile, anche se terribilmente complesso da eseguire e, probabilmente, un intervento di autorità diretto e, soprattutto, “esterno” potrebbe, da solo, non essere risolutivo. Ciò è particolarmente vero per le criptovalute che si basano su blockchain pubbliche (come i Bitcoin) dove la governance, come le dicevo prima, è basata su un modello condiviso e dove forse sarebbe più utile prevedere un “inserimento partecipativo” del regolatore, mettendo a disposizione del medesimo le stesse cababilities della blockchain.
Ciò detto, è altresì vero che in alcuni settori si sta già compiendo dei passi straordinariamente importanti. Penso ad esempio alla quarta direttiva antiriciclaggio (direttiva UE 2015/849, anche nota come “AMLD4”) e, in particolare, all’attuazione che nel nostro paese si compirà nel prossimo anno, in ordine al Decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90 (decreto di recepimento della AMLD4). L’Italia è la prima nazione che anticipa l’evoluzione normativa comunitaria, facendo rientrare l’esercizio degli “cambia-valute virtuali” sotto vigilanza delle autorità competenti di settore, ossia vincolando il prestatore a conformarsi alla disciplina prevista dalla nuova direttiva. Ciò implica, per esempio, che vi sia l’obbligo di identificare e verificare i soggetti fruitori dei servizi di exchange.

Come fare trading con i bitcoin

Si parla tanto della possibilità di fare trading con i Bitcoin. Si tratta di una possibilità concreta oppure è un’attività troppo rischiosa?

La rischiosità è insita in qualsiasi investimento e il problema non dipende solo dalla natura dell’asset negoziato, bensì dai comportamenti dell’investitore, per riprendere un tema di grandissima attualità, legato al premio Nobel recentemente assegnato a Richard Thaler. L’economista americano che, nel proprio lavoro di ricerca, ha analizzato il rapporto tra l’umana tendenza a fare supposizioni realistiche e le scelte economiche, dimostrando come specifiche caratteristiche della nostra psicologia condizionino le decisioni e di conseguenza i risultati per i mercati in ambito economico.

 Esiste un rischio bolla per i Bitcoin?

A mio avviso esiste il rischio di non contemplare – preventivamente – che un investimento di tale tipo possa essere anche una bolla. In altre parole, se vuoi giocare con il fuoco … devi sapere che scotta.

Perchè Bitcoin in questo momento è così volatile

Quel che è certo è che, mai come in come in questo momento (novembre 2017) Bitcoin sembra essere particolarmente volatile.  La criptovaluta, dopo essere salita sino a un massimo di 7900 dollari, è scesa nel giro di pochi giorni sotto quota 6.000 dollari, con una perdita secca del 25%, salvo poi risalire nuovamente nelle ore successive. Non è la prima volta che Bitcoin è soggetto a sbalzi di questo tipo, ma mai prima d’ora, per le ragioni che abbiamo spiegato in precedenza e in questo altro articolo   la criptovaluta era stata tanto al centro dei riflettori. Il problema di questi giorni, spiegano gli esperti, è la sostanziale rinuncia alle modifiche discusse nei mesi scorsi, che avrebbero dovuto permettere all’intero sistema di transazioni di procedere più rapidamente e, dunque, potenzialmente diventare appetibile per l’economia reale. Ma le divisioni in seno alla comunità dei miners hanno portato al naufragio del progetto di riforma, innescando così la caduta delle quotazioni della criptovaluta. Intanto sempre a proposito della volatilità e del possibile rischio bolla c’è da segnalare l’intervento piuttosto pensante di DBS bank, uno dei maggiori finanziatori delle Tecnologie emergenti e super investitore del Sud est asiatico. David Gledhill, Head of Group Technology & Operations. “Vediamo che il bitcoin è come un po’ uno schema Ponzi. Le transazioni sono “incredibilmente costose” e “tutte le tasse sono nascoste attraverso i meccanismi criptati o-meccanismi. Non pensiamo che per DBS partecipare a questo gioco in questo momento produrrà un vantaggio competitivo”.  Dello stesso tenore le dichiarazioni fatte a Business Insider da Nouriel Roubini, noto economista esperto della crisi dei mutui subprime, secondo cui i Bitcoin rischiano di essere un’enorme bolla speculativa che potrebbe avere presto fine.

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