Non che prima non lo fosse, ma l’unico mezzo per godere di contenuti VR senza fili era il Gear VR. Di per sé l’oggetto non è nemmeno tanto male, anzi nell’ultima declinazione ha pure introdotto un touchpad/gamepad realizzato in collaborazione con Oculus per rendere più interessanti le traversate 3D. Però la realtà virtuale, quella che ti fa confondere davvero sul dove sei, con chi sei e perché, è ben altro. Il motivo? Semplice: uno smartphone non potrà mai donare la stessa potenza computazionale di un PC, anche se hai il fior fiore della tecnologia mobile a bordo, come il Galaxy S8.
Per questo l’arrivo degli HTC Vive Standalone rappresenta una vera rivoluzione per il mercato. Presentati dalla compagnia in Oriente, i primi visori con a bordo un processore Qualcomm Snapdragon 835 dedicato al calcolo VR (è lo stesso del Galaxy ma qui non deve gestire altro se non la multimedialità virtuale) arriveranno entro l’anno in Cina ma hanno tutte le carte in regole per approdare negli USA prima e in Europa poi. Come detto, non hanno alcun filo, si indossano come i Gear VR e sono connessi ai sensori di posizione da piazzare in una stanza, grande quanto basta per muoversi in un ambiente libero senza il rischio di farsi male.
La declinazione indipendente si rivolge al pubblico consumer ma non solo. A beneficiare della qualità wireless sarà anche il business che negli Oculus Rift e HTC Vive ha trovato un compagno ideale per rinnovare metodi e strumenti di approccio ad alcuni contesti. Qualche esempio? Le aziende automotive che studiano la fattibilità degli interni prima di produrre un solo prototipo, i meccanici che imparano ad approcciare un veicolo prima di renderlo inutilizzabile, gli strutturandi che impugnano due stick facendo pratica su un paziente virtuale invece che sulle povere cavie. Trasportare tutto ciò all’interno di un oggetto di qualità e senza cavetti che impediscono l’azione è un passo importante verso il futuro dell’adozione della realtà virtuale come piattaforma di progresso culturale e scientifico.