Chi fa questo mestiere comincia a preoccuparsi. Nel lavoro del giornalismo, come in qualsiasi altro, la sana competizione non può che giovare alla maturazione e alla qualità della professione. C’è da chiedersi però se è ancora possibile parlare di leale agonismo quando dall’altra parte della scrivania c’è un robot, sotto forma di software automatizzato. Una domanda che si saranno fatti al Washington Post, primo quotidiano di livello globale a usare a regime un supporto informatico per la stesura degli articoli durante le Olimpiadi. Tutto è partito proprio in vista di Rio 2016, kermesse alla quale il sito ha inviato decine di giornalisti. La volontà è quella di permettere ai reporter umani di concentrarsi su approfondimenti e storie di spessore, lasciando che siano gli automi a svolgere il lavoro sporco che, nel caso dei giochi olimpici, riguarda l’aggiornamento del medagliere, la pubblicazione dei risultati appena terminata una gara e la riproduzione delle griglie di partenza delle singole discipline.
Mani di bit
Insomma, si tratta di un supporto notevole e in alcuni casi necessario, per evitare di perdersi tra numeri e tempi precisi al millesimo di secondo, per cui un solo errore potrebbe compromettere la validità di una notizia. Il software usato dal Post è stato sviluppato grazie ad una partnership con Automated Insights, società californiana specializzata in intelligenza artificiale. La piattaforma alla base è Wordsmith A.I., in grado di analizzare statistiche e informazioni, compresi i Big Data, per creare storie linguisticamente interessanti. Un po’ quello che è successo qualche anno fa tra le mura del Los Angeles Times, quando venne integrato in redazione un programma capace di elaborare articoli incentrati su fatti di cronaca, partendo da fonti ufficiali, come i bollettini della polizia. “Non vogliamo sostituire i giornalisti – ha detto Jeremy Gilbert, a capo dei progetti digitali del Washington Post – ma solo lasciarli più liberi di fare il loro lavoro in maniera più semplice”.