Se non avete mai sentito parlare di Alexa non è così grave. L’assistente vocale di Amazon al momento risiede all’interno di Echo, uno speaker in vendita negli Stati Uniti, dove è già diventato un prodotto da avere in tutte le case. Il suo punto di forza non è tanto la possibilità di chiedere “che ora è” oppure le previsioni meteo per l’immediato futuro ma la capacità di connettersi agli altri dispositivi IoT presenti, se supportati dallo standard Alexa Voice Kit, già disponibile agli sviluppatori.
L’adozione dell’Intelligenza Artificiale voluta da Jeff Bezos sarà ancora più veloce quando verrà integrata all’interno di accessori e gadget di vario genere, già popolari al giorno d’oggi. Parliamo di smartwatch, smartband e auricolari di nuova generazione, dotati di memoria integrata (come gli IconX di Samsung) e di un coach basilare che prende nota del battito cardiaco e della frequenza di corsa. Grazie ai recenti SoC di Qualcomm, molti device potrebbero attualmente adottare Alexa semplicemente con un aggiornamento software. E’ il caso di quelli con chip Bluetooth CSR8670 e CSR8675, in grado di ospitare l’assistente, che si connetterà alla rete di uno smartphone abbinato per ricevere dati via internet e, di conseguenza, inviarne per scopi di monitoraggio fitness. E si spera solo per quello.
L’utilizzo di Echo negli USA sta però creando nuovi problemi di privacy per quanto riguarda casi particolari. Proprio negli ultimi giorni è stata diffusa la notizia del rifiuto di Amazon di concedere alla polizia dell’Arkansas le informazioni conservate su uno speaker trovato in casa di un uomo accusato di omicidio, nel cui bagno era presente il corpo di una persona senza vita. Come per le vicende riguardanti l’FBI e Apple (nel caso dello sblocco dell’iPhone 5C dell’attentatore di San Bernardino), le opinioni si dividono tra chi è favorevole all’apertura delle piattaforme alle forze dell’ordine e chi sostiene invece l’inviolabilità della privacy, anche dinanzi a situazioni simili.