Il 10 novembre 2015 Facebook lanciava in Italia Nearby, ovvero Amici nelle vicinanze. Più che un’app si trattava di un’integrazione alla piattaforma social più popolata del pianeta con cui trovare persone da aggiungere alla lista per prossimità territoriale. Integrata all’interno delle metriche della rete, per usarla bisogna attivare il GPS e lasciare che i sistemi della multinazionale americana ricerchino gli altri che hanno attivato la stessa funzione, restituendo i nomi a seconda dei chilometri di distanza dall’utente principale. Presto l’opzione potrebbe scomparire dal software per colpa dell’italiana Business Competence. L’azienda milanese infatti ha portato Facebook in tribunale con l’accusa di aver copiato illegalmente l’idea di Nearby, già sviluppata internamente con “Faround”.
Con la sentenza numero 9549 del 1 Agosto 2016, la Sezione Specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Milano ha dichiarato colpevole in primo grado Facebook per concorrenza sleale, inibendo l’utilizzo di Amici nelle vicinanze sul suolo nazionale. Ad oggi però la funzione è ancora attiva e non pare sull’orlo di una dismissione sul breve periodo. Strano, visto che il 28 dicembre 2016 la Corte d’Appello ha respinto l’istanza di sospensione richiesta da Facebook, confermando il giudizio in appello e che la decisione andava applicata a decorrere da 60 giorni dalla sentenza, datata 1 agosto 2016.
Nello specifico, quello che il Tribunale rileva è che Facebook avrebbe fatto proprie le applicazioni sviluppate da terzi attraverso la propria piattaforma avvantaggiandosi così in maniera sleale, come si legge nel testo della sentenza: “Il diritto di Facebook di creare applicazioni che offrano funzioni e servizi simili alle applicazioni degli sviluppatori, o comunque in concorrenza con queste, sussiste solo quando esse siano sviluppo autonomo e indipendente e non va inteso, pena la invalidità della clausola 9.19 (“Possiamo creare applicazioni che offrono funzioni e servizi simili alle applicazioni degli sviluppatori o comunque in concorrenza con queste“), in modo da rendere lecita un’attività che, viceversa, è illecita, poiché la concorrenza è esercizio di un legittimo diritto solo quando non sia sleale. L’analisi delle applicazioni degli sviluppatori è, quindi, consentito per scopi leciti, ma non per attività di concorrenza sleale, pena la violazione della clausola di buona fede e del dovere di protezione nei rapporti.”