Sono almeno tre gli allontanamenti di personaggi di spicco a cui ha dovuto far fronte Uber negli ultimi mesi. Prima il presidente Jeff Jones, poi il responsabile del programma veicoli Sherif Markaby e infine Anthony Levandowski, ex ingegnere del programma di guida autonoma di Google e incorporato da Uber insieme alla sua startup Otto. La nuova, eclatante uscita di scena, seppur temporanea, è quella di Travis Kalanick, CEO della compagnia e vero flusso catalizzatore nei recenti periodi di difficoltà. Cosa sta succedendo in Uber? Perché questo fuggi-fuggi generale? La piramide ha subito un duro colpo dopo le accuse di molestie sessuali avanzate da Susan Fowler, già ingegnere dell’azienda, che hanno portato a una ventina di licenziamenti e un certo senso di malessere all’interno di una realtà la cui valutazione in borsa è di circa 68 miliardi di dollari.
Anzi, proprio la tanto sospirata quotazione rischia di saltare a causa di tali eventi, che rischiano di minare una già difficile fase della società. Lo stop di Kalanick è dovuto principalmente alla scomparsa della madre, durante un uscita in barca, la stessa in cui il padre è rimasto gravemente ferito. “Ho capito che le persone sono più importanti del lavoro – ha detto – dunque devo riconcentrarmi su me stesso e su quello che conta”.
Attualmente le redini di Uber sono nelle mani di un board già coinvolto nelle decisioni più spinose che hanno riguardato, peraltro, il blocco e lo sblocco del servizio di trasporto privato in Italia. Di certo la startup ha bisogno di una ristrutturazione concreta a livello di management. Da sorpresa a piattaforma interessante è diventata un player di primo piano nel panorama della mobilità urbana. C’è bisogno di ridiscutere non solo i ruoli aziendali ma anche il posto che Uber vuole avere nel nuovo mondo economico che vede sempre più realtà digitali prendere il sopravvento; collaborando con gli attori esistenti che, sentendosi minacciati, continuano ad alzare barricate.